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domenica 30 aprile 2023

Ognuno è il suo inizio; ognuno, in sé, un fine...

 


E ora a valle, te stesso, e l’ombra di te stesso,

tutto quello che porti indietro.

Eppure, è abbastanza: cassa di risonanza, corrimano,

apparecchio acustico e occhio introspettivo...

indietro dalla montagna delle sette caverne, la sua croce

dove è inchiodato il serpente; indietro

dal ceppo di querce e dalla rosa, il loro rivolo

ricercato dai ciechi col loro tocco asciutto; indietro

dagli Innocenti, quella tinozza dove il sole e la luna

s’immergono nel loro bagno rosso...

l’Eco è arbitraria: fiamma, vento, diluvio

e suolo, ognuno un sopravvissuto, ognuno

erede dell’impronta digitale, il lapsus linguae.

Ognuno è il suo inizio; ognuno, in sé, un fine...


Charles Wright, Breve storia dell'ombra, Crocetti Editore. Traduzione di Antonella Francini

Ed ecco anche  il testo originale :

And so down river, yourself, and yourself’s shadow,

All that you bring back.

Still, it’s enough: sounding board, handhold,

Ear rig and in-seeing eye . . .

Back from the seven-caved mountain, its cross

Where the serpent is nailed; back

From the oak-stock and rose, their rivulet

Sought by the blind with their dry touch; back

From the Innocents, that vat where the sun and the moon

Dip to their red bath . . .

The Echo is arbitrary: flame, wind, rainwrack

And soil; each a survivor, each one

An heir to the fingerprint, the slip of a tongue.

Each is where you begin; each one an end in itself. . .


Tornare giù. Dopo essere salito in vetta, lì dove ciò che è dell'uomo pare così lontano, così insignificante. Di cosa succede quando si scende a valle - forse la cosa più difficile - di questo parla la poesia di Charles Wright. Di ciò che portiamo giù: te stesso, e l'ombra di te stesso. Non molto sembrerebbe, ma abbastanza dice il poeta, mentre indica qualcosa: cassa di risonanza, corrimano e poi ancora apparecchio acustico e occhio introspettivo. Metto in fila queste immagini stasera, il legno di una chitarra che trasmette onde sonore di armonia, un appiglio per non cadere, uno strumento giapponese, minuscolo, che mi riveli il diverso suono dell'inganno e della verità, un occhio che trapassi le apparenze. Il quadro ora si fa più nitido; per chi scenda dall'esperienza della vetta questo il destino: essere voce di un'armonia che non gli appartiene, un appiglio per chi rischia il precipizio, ascoltare senza perdere né una sillaba, né un sussurro, infine spingere la vista al cuore delle cose, all'intimo nascondiglio dell'anima o lì dove giace prigioniera.

indietro... la poesia insiste su questo movimento, indietro ... un ritorno è qui evocato dai versi di Wright, un ritorno da luoghi ricchi di memorie sacre, abitati da arcane presenze. La montagna con le sue sette caverne, il serpente inchiodato alla croce, il sangue degli Innocenti; il linguaggio è allusivo, evoca l'esperienza di un altrove assoluto, dove non si può sfuggire al rischio di perdere o vincere tutto. 

A proposito dell'immagine dell'Eco che domina i versi finali,  l'autore ha lasciato detto che "è un eufemismo per "Whatever's-out-There" , ovvero "qualunque cosa ci sia là fuori". Prodigiosa allegoria di un dio che sfugge ad ogni definizione ad ogni legge di necessità.

l’Eco è arbitraria: fiamma, vento, diluvio e suolo

Strana eco questa. Tu gridi il nome di un affanno e lei risponde con una parola di inaspettata leggerezza, tu sollevi nell'aria parole di letizia e ti restituisce un monito grave.  L’Eco è arbitraria, è  voce che non sta alle nostre regole, voce che infiamma e consuma, che scuote, inonda, sommerge e nutre. Al suo cospetto ognuno può infine riconoscersi (che sia questo il segreto del viaggio verso la vetta?)

ognuno un sopravvissuto ... 

ognuno è il suo inizio.