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giovedì 24 novembre 2022

alle riviere di Smirne

Il Neckar 



François Antoine Bossuet, A view of Heidelberg and the river Neckar


Nelle sue valli si destò il mio cuore

alla vita: giocavano le onde

intorno: dei dolci colli che salutano

il viandante, nessuno mi è straniero.


Più volte quelle cime mi affrancarono

dal dolore che asservisce. A valle

era una coppa fervida di vita

l'argento cilestrino delle acque.


Le fonti ti cercavano dal monte

come il mio cuore. Tu ci rapivi

giù verso il grave Reno con le sue

città e le sue isole ridenti;


e mi pareva bello il mondo. Gli

occhi fuggivano ai richiami della terra,

all'oro del Pattòlo, alle riviere

di Smirne, al bosco d'Ilio. Molte volte


vorrei sbarcare al Sunio per cercare

sul tacito sentiero le colonne

dell'Olimpieo, prima che la bufera

e gli anni lo seppelliscano col tempio


di Pallade e le statue degli Dei;

da troppo tempo, orgoglio d'un mondo

che non è più, si leva solitario.

Isole della Ionia! L'alito del mare


ristora le rive ardenti e anima i lauri

e il sole scalda il ceppo della vite;

il lamento di un popolo di poveri

all'oro dell'autunno si fa canto,


matura il melograno, l'arancio

guarda nel verde della notte, il lentisco

stilla resina. Allora il tamburello

invita al labirinto della danza. 


E forse a voi o isole di Ionia

mi porterà uno spirito benigno.

Ma sempre avrò nel cuore te, mio Neckar,

tra i dolci prati e i salici sull'acqua.


 di Friedrich Hölderlin, traduzione di Enzo Madruzzato


Poesia meravigliosa e difficile quella di Hölderlin. Quel che accade in essa accade come per un arcano sortilegio, per una litania in una lingua dimenticata: la magia si compie lo stesso, anche quando non afferriamo tutto. Lo sfondo di questa lirica si delinea attorno ad un cuore che si desta alla vita, nella contemplazione della Natura. Tra valli, colli e fonti, là dove scorre il fiume Neckar, qualcosa si manifesta in modo sorprendente. Tutto qui appare segnato da una segreta armonia: i colli salutano il viandante, le acque trasparenti del fiume sono una coppa fervida di vita, le cime dei monti sanno liberare l'uomo dal dolore che asservisce. Ma ecco che l'animo si volge rapito, come da un richiamo irrinunciabile, ad un altro paesaggio, lontano nello spazio e nel tempo. La luce è diversa nei luoghi evocati dalla magia dei versi: il promontorio di Sunio dove sorgevano gli antichi templi di Atena e Poseidone, il fiume Pattòlo che scorreva nella Lidia trascinando con la sua corrente sabbia ed oro fino alle dimore di Creso, il bosco di Ilio, le riviere di Smirne... Colori e profumi sconosciuti afferrano i sensi, la musica di un tamburello chiama alla danza sui passi di Dioniso. Poi, all'improvviso la visione sfuma, si scolora ed il cuore del poeta torna alla propria terra, al rumore consueto delle acque del suo fiume.

Uno dei paradossi più affascinanti della lirica di Hölderlin - è stato detto - sta nel fatto che, parlando della sua patria, egli rappresenta sempre un paesaggio lontano e immaginario, come se questa patria non fosse altro che la nostalgia di un altrove. Per il poeta la Grecia costituisce in tutti i sensi un punto di fuga rispetto alla desolazione dell'età presente, ma a sua volta tale movimento di fuga può divenire il punto iniziale di un nuovo peregrinare, in un infinito movimento dialettico/mistico che rende estranea la patria e fa apparire patria ciò che è estraneo. Questo vagabondaggio dello spirito sembra muoversi, nella sua traiettoria circolare, da luoghi solitari e poco battuti (le fonti, le cime amiche, i boschi) verso luoghi altrettanto solitari, abbandonati e dimenticati (il tacito sentiero, le colonne di un tempio sul punto di essere seppellito dagli anni).  E' dunque nella Natura che si svolge la ricerca del poeta, di lei il poeta cerca la confidenza.

Non pare tuttavia che siano diffidenza o disprezzo dell'uomo a spingere Hölderlin lungo la sua strada solitaria, ma allora come interpretare questa ricerca? Secondo me si dovrebbe cercarne il senso in uno dei versi più commentati e citati del poeta tedesco: “Chi ha pensato le cose più profonde, ama ciò che è più vivo”. 

Secondo il critico (e poeta lui stesso) Antonio Prete, pensare il più profondo, amare il più vivo indica un ritmo che unisce conoscenza e amore. La poetica di Hölderlin si muove in una continua tensione volta a bruciare ogni opposizione tra il sapere e l’amore, tra la conoscenza e la bellezza. Il pensiero, nella sua essenza, è amore della bellezza. In questa prospettiva è possibile vedere nelle acque del Neckar, come nelle riviere di Smirne le fonti dalle quali il poeta ha appreso la lingua della propria arte. La poesia - nelle parole di Antonio Prete - è la lingua che accoglie questo incontro tra amore della sapienza e amore del vivente. Ciò si può vedere in modo quanto mai chiaro nell’Iperione, una delle opere più celebri di Holderlin; lì c'è un passaggio straordinario in cui troviamo queste parole: essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l’uomo. Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia all’onde di un campo di grano.

una felice dimenticanza di se stessi 

E risuona subito d'intorno l'ammonimento di Zarathustra: "E' necessario imparare a distogliere lo sguardo da se stessi, per vedere molto.









mercoledì 16 ottobre 2019

nelle estreme difese dalla Tenebra



Il mattino, Caspar David Friedrich (1821-1822)


La quiete

Quando il gallo cantò e suonò la falce
ti promisi destandomi una lode,
o benefica. Ed ecco il mezzogiorno
è chiaro, e batte in me un'ora ispirata.

Ristoratrice, come la panca della casa
cui il combattente pensa nel lontano tumulto
della battaglia quando gli piombano le braccia
e riposa nel sangue il ferro urlante -

così sei tu, consolatrice amica.
E al disprezzato doni la forza del gigante:
sorride degli sguardi nobileschi,
della stridula lingua della vipera -

nella valle di viole dove il bosco 
bisbiglia oscuro, trova il sonno, ebbro
d'ispirazione e di futuro, e intorno
gli alita, veste d'ali, l'innocenza.

Lo consacra nel sonno il prodigio di pace
perché nel labirinto agiti strenuo
la face e avanzi aspro il suo vessillo
nelle estreme difese dalla Tenebra.

Si leva pronto. Scende più severo
lungo il rivo alla baita. E l'opera divina
 germina nella grande anima. Ancora
una primavera, poi sarà compiuta.

E qui l'eroe t'innalza grato l'ara
o riposo mandato dagli Dei.
E sorride d'ebbrezza come il sole
che si diparte. Attende il lungo sonno.

S'accosteranno i figli alla sua tomba
con un brivido alto come a quella
del sapiente, del grande che riposa
nell'isola dei pioppi sussurranti.

                                  
                                        di Friedrich Hölderlin


Nessuno come lui, come Hölderlin ovviamente. Va bene... Forse qualcuno, pochissimi comunque.

Un'ode alla "quiete", al riposo mandato dagli Dei scorre lungo un perfetto accordo di suoni, una partitura studiatissima, degna di una sinfonia, un'armonia che ancora riusciamo a cogliere, anche nella eccellente traduzione di Enzo Madruzzato.

Alla quiete dunque si rivolge il poeta, al riposo, dono degli Dei che attende il combattente e spetta al Disprezzato, l'attende l'eroe sorridendo d'ebbrezza come il sole/che si diparte.  

Quanto è lontana questa quiete dalla moderna ansia del rilassarsi, del sospendersi come in una camera iperbarica, lontani da ogni tumulto, da ogni fatica, da ogni compromissione con i bisbigli oscuri, eppure rivelatori del bosco. L'uomo contemporaneo è ossessionato dal riposo, lo insegue affannato e non lo raggiunge mai davvero, perché la sua essenza è l'ebbrezza d'ispirazione e di futuro, non l'oblio dei mangiatori di loto.

Se per noi moderni la quiete è anzitutto assenza di pericolo, la poesia di  Hölderlin evoca la quiete che ristora nel tumulto stesso della battaglia, quando al combattente le braccia si fanno stanche della lotta e riposa nel sangue il ferro urlante. Non l'uomo pago del plauso e del consenso di tutti  trova il prodigio di pace, ma il Disprezzato - figura dell'uomo poetante - che sorride degli sguardi dei potenti e della stridula lingua della vipera e che percorre i sentieri poco battuti del bosco, dove trova il sonno in cui solo può trovare la sua consacrazione ...

perché nel labirinto agiti strenuo
la face e avanzi aspro il suo vessillo
nelle estreme difese dalla Tenebra.