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Rilievo di Krito e Kameiros, probabilmente V sec. a. C. , Museo archeologico di Rodi |
Invece del talamo felice e degli imenei rituali
tua madre pose sopra questa tomba di marmo
una fanciulla con la tua statura e la tua bellezza,
o Tersi: anche se sei morta, ti si può parlare.
Ἀντί τοι εὐλεχέος θαλάμου σεμνῶν θ’ ὑμεναίων
μάτηρ στῆσε τάφῳ τῷδ’ ἐπὶ μαρμαρίνῳ
παρθενικὰν μέτρον τε τεὸν καὶ κάλλος ἔχοισαν,
Θερσί· ποτιφθεγκτὰ δ’ ἔπλεο καὶ φθιμένα.
A.P. 7.649 traduzione di A. Presta
Ho ripreso in mano, oggi, un vecchio libro, segnato da annotazioni e da commenti scritti in tempi lontani: cercavo proprio questo epigramma, tra tanti: mi aveva colpito allora e continua a coinvolgermi anche oggi, in questa fredda giornata di fine novembre. Il componimento è opera di Anite, una poetessa vissuta a Tagea, una città dell'Arcadia, fra IV e III secolo a.C. . Doveva essere molto brava se Antipatro di Tessalonica la chiamò “Omero donna” e la inserì nel novero delle principali poetesse greche. Di lei ci rimangono 22 epigrammi, nei quali due istanze espressive mi sembrano prevalere: quella dell'epitaffio, reale o fittizio, dedicato a guerrieri o a giovani fanciulle, a volte anche ad animali, e quella della rappresentazione della natura, attraverso nitidi squarci bucolici o immagini istantanee e folgoranti.
L'epitaffio che avete appena letto è dedicato alla memoria di una giovane, di nome Tersi, morta ante diem, prima del tempo. I quattro versi che compongono l'epigramma sono attraversati da una straziante antitesi tra le gioie del talamo nuziale e del canto felice dell'imeneo (il canto con cui si accompagnavano le giovani donne alle nozze) alla quali la vita di Tersi era destinata e la realtà inerte e fredda della tomba di marmo. Attraverso tale contrapposizione irrompe l'emozione dolorosa, nutrita del contrasto tra le speranze giovanili venute meno e l'ingiusta sorte della morte prematura toccata alla ragazza; il tono di questo canto funebre appare amaro e al tempo stesso sobrio e ammirabile.
Sulla tomba della giovane ormai scesa nell'Ade, è presente sua madre ed è una presenza significativa, in sintonia con le numerose evidenze, archeologiche e letterarie, nelle quali la fanciulla morta anzitempo è accompagnata dalla madre, che assume ruoli e funzioni diverse (ne vediamo uno straordinario esempio nel rilievo del V secolo, qui sopra riportato). Nell'epitaffio di Anite la madre svolge un ruolo contrastivo rispetto all'azione dissolutrice della morte: ha infatti collocato una statua, della stessa statura e bellezza, una statua dunque che sembra promettere la possibilità di uno scambio di affetti, di un estremo colloquio. Si tratta di un motivo già presente nell’Alcesti euripidea, quando Admeto, in risposta alle parole di addio della sua sposa, dichiara che non prenderà altra moglie e che metterà nel proprio letto un simulacro di lei, effigiato da mano sapiente di artista (vv. 348 ss.):
fredda gioia, lo so, ma pure
capace di alleviare il peso dell'anima .
La fredda gioia in cui Admeto confida per attenuare il dolore della morte della sua Alcesti proietta la sua forza simbolica sulla presenza della madre accanto alla tomba di sua figlia nell'epigramma di Anite: la statua ha la stessa bellezza, la stessa altezza di Tersi, certo le mani che l'hanno scolpita sono le mani di un artista valente ed esperto, se no la poetessa non pronuncerebbe quell'ultima frase, anche se sei morta, ti si può parlare. E tuttavia non possiamo evitare di sentire lo scarto, immenso e invincibile, tra l'azione riparatrice della madre e la ferrea legge che separa il confine tra i viventi e l'oscuro Tartaro. L'impossibilità di quella riparazione rivela qui la sua composta nobiltà e consegna a noi, attraverso i secoli, la memoria di una grammatica del dolore di cui non cessiamo di avere bisogno.
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