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giovedì 24 settembre 2020

Canta come se nulla fosse

 



CHIEDO IL SILENZIO

... canta, lastimada mia

Cervantes


anche se è tardi, è notte,

e tu non puoi.


Canta come se nulla fosse.


Nulla è.


di Alejandra Pizarnik



Ritorno, con questa poesia sul tema del silenzio e della solitudine. Non il silenzio di chi abbia perduto interesse al mistero della condizione umana, né la solitudine di chi abbia smarrito il ricordo di canti attorno al fuoco o dell'abbraccio che accoglie sulla soglia di casa dopo lungo andare. 

E' un silenzio diverso che nella poesia di Alejandra Pizarnik si chiede. E' notte, un'ora tarda in cui tutti dormono o dovrebbero dormire. La stessa ora forse del passo del Don Chisciotte (seconda parte, capitolo XLIV) citato a margine del titolo: Emerenza invita l'amica Altisidora a cantare una serenata per il cavaliere della Mancia.  

"Canta, lastimada mía, en tono bajo y suave, al son de tu harpa" ...

"Canta, mia sventurata, in tono basso e dolce, al suono della tua arpa"...

Nel breve componimento della poetessa argentina tutto comincia dal titolo: "chiedo il silenzio". Bisogna che ogni suono si arresti e ogni voce taccia perché lei possa cominciare a parlare.

anche se è tardi, è notte,

e tu non puoi 

Lo fa con riserbo e delicatezza, sa che nulla può pretendere: lo so che è notte e che è tardi e che forse nemmeno è possibile, sembra voler dire, quasi a scusarsi. E poi questo verso sbalorditivo, forte come un grido disperato e nel profondo tuttavia simile ad una preghiera che sorpassa lo spazio ed il tempo:

Canta come se nulla fosse.


giovedì 21 novembre 2019

una tribù di parole mutilate


Tristano e Isotta, Salvador Dalì

Anelli di cenere

(a Cristina Campo)

Sono le mie voci a cantare
perché non cantino loro,
gli imbavagliati grigiamente nell’alba,
quelli vestiti da uccello sconsolato nella pioggia.

C’è, nell’attesa,
un mormorio di lillà che si rompe.
E c’è, quando arriva il giorno,
una divisione del sole in piccoli soli neri.
E quando si fa notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.

             di Alejandra Pizarnik, traduzione di Roberta Buffi


Alejandra Pizarnik 
Alejandra Pizarnik nacque a Buenos Aires nel 1936, in una famiglia di immigrati ebrei di origine russa e slovacca. Nel 1954 si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires ma non terminò i suoi studi. Avida lettrice già in giovanissima età, pubblicò il suo primo libro, intitolato La terra più estranea, nel 1955. A questo seguirono L’ultima innocenza, nel 1956, e Le avventure perdute, nel 1958. Tra il 1960 e il 1964 visse a Parigi, dove collaborò con diverse riviste e quotidiani. A quel periodo risale la sua amicizia con Julio Cortázar, André Pieyre de Mandiargues, Cristina Campo e Octavio Paz, che scrisse il prologo alla sua quarta raccolta di poesie intitolata Albero di Diana (1962). Nel 1964 tornò a Buenos Aires e pubblicò le sue opere più conosciute: I lavori e le notti (1965), Estrazione della pietra della follia (1968) e L’inferno musicale (1971). Nel 1954 Pizarnik iniziò a scrivere un diario che l’accompagnò fino agli ultimi giorni della sua vita (dal sito della casa editrice LietoColle che ha pubblicato la traduzione delle sue poesie).
Nel 1972, all’età di trentasei anni, Alejandra si tolse la vita, nella stessa città in cui era nata.
Poesia completa raccoglie tutte le poesie di Alejandra Pizarnik; il volume è stato curato da Ana Becciu, poetessa e traduttrice letteraria.

 L’epistolario con Cristina Campo, alla quale la poesia Anelli di cenere  è dedicata, si compone  di una trentina di lettere – non ci sono pervenute quelle della Pizarnik – in francese, è stato scoperto, una decina di anni fa, da Stefanie Golisch, autrice di studi su Uwe Johnson e Ingeborg Bachmann, traduttrice verso il tedesco, tra gli altri, di Antonia Pozzi, Charles Wright e delle poesie di Cristina Campo.
In un'intervista che potete leggere per intero qui:  http://www.pangea.news/molti-vivono-al-margine-del-loro-destino-le-lettere-inedite-di-cristina-campo-ad-alejandra-pizarnik/  la Golisch scrive: "quando Cristina e Alejandra si conoscono, si conoscono già. Per quanto apparentemente diverse se non opposte, c’è qualche cosa che le accomuna e cioè l’ossessione del proprio io. Delle sue ferite e delle sue potenzialità. La convinzione che tutta la bellezza della vita si gioca dentro ogni singolo essere umano. Cristina Campo, la raffinata scrittrice e studiosa, molto discreta con la sua vita volutamente appartata, la sua naturale eleganza di altri tempi, che disprezzava i cosiddetti circoli letterari, dicendo di se stessa  di aver scritto poco e di aver voluto scrivere ancora meno e Alejandra Pizarnik, l’eterna ragazza dai tratti geniali, psichicamente labile che si compiaceva nel ruolo di uno sfrenato Rimbaud al femminile e che voleva fare del suo corpo il corpo della poesia. Sostiene George Bataille che quando due persone s’innamorano, sono le loro ferite che s’innamorano. Il compimento dell’amore sarebbe dunque il momento del massimo dolore: quando le due ferite si posano una sopra l’altra. Probabilmente ciò che Alejandra e Cristina avvertono istintivamente una nell’altra è la radicalità con cui la vita si misura in loro secondo i gradi d’intensità. Sotto la soglia della massima intensificazione di ogni attimo, nulla vale. Ciò che conta non sono tanto i mezzi della ricerca – abbandono incondizionato ai piaceri del mondo o elevazione spirituale – quanto il bisogno di bruciare vivi. Cristina Campo sublimerà la sua natura seguendo l’ideale della perfezione – a tutti i livelli –, per Alejandra significa: resistere giorno per giorno nella spietata battaglia tra l’io e il mondo. Perché soltanto a chi non diserta e non si risparmia, a chi si espone coraggiosamente alle sfide mortali che la vita gli lancia, sarà concesso di formulare – per dirlo con un’espressione di Ingeborg Bachmann – wahre Sätze,  frasi vere."