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sabato 6 agosto 2022

E mai nell'anima un Bosch infernale!

 Album 



Nessuno in famiglia è mai morto per amore.

Nulla di quel passato potrebbe farsi mito.

Romei tisici? Giuliette malate di cuore?

C'è chi anzi è diventato un vecchio  raggrinzito.

Nessuna vittima d'una risposta non giunta

a una lettera bagnata di pianto!

Alla fine appariva sempre un vicino

con pince-nez e rose di giardino.

Nessun soffocamento in un armadio elegante

per il ritorno del marito dell'amante!

Questi corsetti, queste gale, la mantiglia

non impedivano di entrare nella foto di famiglia.

E mai nell'anima un  Bosch infernale!

E mai in un parco con la pistola in mano!

(Morivano, ma per altre ragioni, con una palla 

nel cranio e barelle da campo per guanciale).

Perfino questa, con un pudico décolleté

e gli occhi cerchiati come dopo una soirée,

è defluita con una grande emorragia

non verso di te, o cavaliere, e non per nostalgia.

Prima della fotografia, forse qualcuno,

ma di quelli dell'album, a quel che so, nessuno.

Le pene volgevano in riso, i giorni volavano,

e loro, placati, per un'influenza se ne andavano.


di Wislawa Szymborska, 

dalla raccolta "Amore a prima vista", Adelphi. Traduzione di Pietro Marchesani


Scrivere poesie sull'amore è da tempo un azzardo spericolato, un sentiero che costeggia un precipizio. Eppure l'amore appare come tema ben rappresentato nella poetica di Wislawa Szymborska, tanto che Adelphi nel 2017 ha pubblicato una raccolta di liriche della poetessa di Cracovia premio Nobel nel 1996, dal titolo Amore a prima vista. E' Pietro Marchesani, il più accreditato traduttore  e curatore dell'opera  della Szymborska, ad aver scelto le ventisei poesie, nelle quali risuona "quella personalissima  capacità di interrogarsi, con un'andatura riflessiva e scherzosa insieme", causa rilevante dell'attenzione, ormai mondiale, riservata all'opera della poetessa polacca.

E veniamo alla poesia di oggi, che affida ad un vecchio album di foto di famiglia il compito  di mostrarci un'inconsueta traccia dell'amore. La poesia comincia con un verso dall'andatura colloquiale e sentenziosa insieme: In famiglia nessuno è mai morto per amore; si può essere delusi forse da un tale incipit che in qualche modo rassicura e ridimensiona, tanto più che la voce poetante, passando in rassegna i volti dell'album, ci confida: nulla di quel passato potrebbe farsi mito. Dobbiamo tuttavia fidarci che il sentiero in cui la poesia ci guida non sarà un viaggio vano.

Eccoli lì dunque i ritratti composti di una galleria di uomini e donne  che hanno tracciato un confine netto e ben guardato tra la rispettabilità e la passione, tra le chiacchere degli anziani troppo severi e l'abbandono fatale alla signoria del cuore in tumulto. Nulla in quelle anime ascende al mito, poiché dove tutto è "misura" ad altro non è concesso di albergare. Dunque non Romeo, né Giulietta, con muri ostili, scalati a notte fonda, e lettere  bagnate di pianto, abitano tra i volti per bene dell'album. Piuttosto intravediamo vite tiepidamente trascorse, come quella di George Gray nell'Antologia di Spoon River, il quale contemplando la propria tomba trae amaro bilancio: ...l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno. Vivono a lungo animi siffatti, sebbene un po' rinsecchiti. Anche quando l'amore si affaccia inopportuno, ecco che arriva l'uomo posato con i suoi occhialetti ben piantati sul naso, in mano non fiori strappati su pericolosi dirupi, ma ben curate rose di giardino. Quanto dista una simile offerta dai tulipani che sgorgano dal sangue della bella Farhad in cerca del suo amato Shrin o dalla rosa che il padre della piccola Bellinda trafuga dal giardino del palazzo fatato del Mostro per fargliene dono: nulla di quel passato potrebbe farsi mito...

Non trova posto ovviamente tra le fotografie di famiglia  chi soffochi nell'armadio elegante per sfuggire ad un marito geloso o chi per disperato sfinimento si ritrovi a vagare per un parco con una pistola in mano. Decoro, autocontrollo, moderazione sono gli idoli intransigenti a cui sono devoti gli uomini e le donne che sfilano tra le pagine dell'album.

E mai nell'anima un Bosch infernale !

Fermiamoci ora un istante: i quadri di Hieronymus Bosch sono molto conosciuti, anche al di là del numero di specialisti e di critici che da anni si interroga sul giusto modo di interpretare l'opera del pittore olandese. Le sue tavole sono popolate da figure mostruose: esseri dal ventre squamoso, demoni con teste ferine, gambe rachitiche che spuntano da tumide vesciche, vizze zampe di insetto innestate su pallidi corpi. Che ci fa l'infernale Bosch in una poesia d'amore e in questa in particolare?

E' diffusa l'opinione che Bosch attraverso le bizzarrie e i mostri deformi che popolano la sua immaginazione volesse rappresentare (per quanto questo vocabolo sia del tutto insufficiente a spiegare l'arte di questo pittore) gli esiti della vita senza Dio. L'ordine meraviglioso del creato si volge nello sconvolgimento di ogni regola, nella dissoluzione di ogni principio di causa-effetto, di ogni armonia. 

Eppure... non è nella logica dell'amore questa  stessa possibilità? Non è ineluttabile - perfino - che l'amore sia sconvolgimento profondo delle ingenue pretese di porre limiti al suo arbitrio? Rinnega il tuo nome implora la fanciulla di Verona... Non ci allontaniamo dal vero, se riconosciamo che ove vi sia un'anima presa d'amore, lì scocca l'ora terribile in cui il mondo diventa un Bosch infernale.

Non così accade  per i ritratti  dell'album: nessuno muore per amore  o per nostalgia. Tutt'al più in qualche battaglia, in scaramucce di frontiera, come si addice a uomini affidabili, degni di essere ricordati in qualche monumento cittadino. O più semplicemente deflusicono per un'emoraggia, ma precisamente diagnosticata sia ben chiaro. Vi era un tempo - è probabile - prima che gli uomini prendessero gusto a fotografare - in cui a qualcuno deve essere capitata la sorte di Romeo, ci deve pur essere stata una vita che è sfuggita alla mestizia di George Gray sulla collina. Non più, sembrano dirci i versi della poesia, nell'era della riproducibilità delle emozioni fissate con il cloruro d'argento, 

le pene volgevano in riso, i giorni volavano

e loro, placati, per un'influenza se ne andavano.

Meritano una ultima riflessione questi versi, ironici, disincantati, accompagnati - ci piace immaginare - da un sorriso malinconico e trafiggente. Nel momento in cui ci apprestiamo a congedarci dalla poesia, ponendo ad una giusta distanza prospettica l'ispirazione che l'ha generata, notiamo d'un tratto l'ordito di un disegno ben studiato: la natura dell'amore viene espressa  dall'assenza - o dal rifiuto - dei suoi sconvolgimenti. Il sismografo delle anime assennate  non registra onde violente e distruttive. La galleria di quelle vite è un susseguirsi di gesti misurati, di passi ben ponderati, di calcoli ben disposti sulla partita doppia dei sentimenti. L'ultimo verso appare in questa prospettiva davvero illuminante: agli occhi della Szymborska i volti dei suoi familiari sono placati; rassicurati dalla loro metodica si spengono secondo i ritmi prevedibili (sebbene non privi di dolore) della natura, tra un colpo di tosse e il sapore di un'inutile aspirina.


mercoledì 13 maggio 2020

senza scampo sorridenti



Andrew Wyeth, "In the Doorway"


Un incontro inatteso


Siamo molto cortesi l’uno con l’altro,
diciamo che è bello incontrarsi dopo anni.
Le nostre tigri bevono latte.
I nostri sparvieri vanno a piedi.
I nostri squali affogano nell’acqua.
I nostri lupi sbadigliano alla gabbia aperta.

Le nostre vipere si sono scrollate di dosso i lampi,
le scimmie gli slanci, i pavoni le penne.
I pipistrelli già da tanto sono volati via dai nostri capelli.

Ci fermiamo a metà della frase,
senza scampo sorridenti.
La nostra gente
non sa parlarsi




Wisława Szymborska , La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009): Adelphi, 2009


Cosa ha legato insieme i destini dei protagonisti di questo incontro inatteso ? Una storia d'amore improvvisa e incandescente, un'amicizia intensa e piena di passioni comuni? Non lo sappiamo e, in effetti, poco importa. Wisława Szymborska ci regala in questa sua straordinaria poesia l'espressione estetica di un momento preciso: un incontro inatteso appunto, dopo che anni sono trascorsi da quando il filo di quel legame si è spezzato.

E' così che vanno le cose. C'era un'energia indomabile, inesausta, un 
         
"divampante fulgore
  nelle foreste della notte"

come dice William Blake. 

E ora le nostre tigri, la mia e la tua ... bevono latte. Si innalzavano nelle correnti dell'aria come sparvieri sfidando tempeste, luoghi comuni, perbenismo e ora ... quegli sparvieri camminano a piedi, guardando le cose dal basso, come tutti. Misuravano come squali gli oceani con la propria forza, predatori mai sazi di abissi e oceani ... ora affogano in una pozza d'acqua.
E come lupi preferivano la fatica della libertà alla gabbia delle facili sicurezze e delle opinioni ragionevoli, ora ... ora quei lupi sbadigliano di fronte ad una gabbia aperta. Dimentichi dell'ebbrezza delle vette e del profumo dei boschi.

E' così che vanno le cose.

... senza scampo sorridenti

cortesi, ci fermiamo a metà della frase, educati, senza scampo sorridenti...

sabato 25 gennaio 2020


Al risveglio



First sunrise on Annapurna Dakshin, di Tristan Brittaine


Al risveglio ho trovato
con la luce una lettera.
Ma non posso sapere
che dice: non so leggere.

E non voglio distrarre
un sapiente dai libri:
ciò che c’è scritto forse
non lo saprebbe leggere.

La terrò sulla fronte,
la terrò stretta al cuore.
Quando scende la notte
ed escono le stelle,
la porterò sul grembo
e resterò in silenzio.
E me la leggeranno
le foglie che stormiscono,
e ne farà il ruscello
col suo scorrere un canto
che a me ripeterà
anche l’Orsa dal cielo.

Io non lo so trovare
quel che cerco, o capire
cosa dovrei imparare,
ma so che questa lettera
che non ho letto, ha reso
più lieve il mio fardello,
e tutti i miei pensieri
ha mutato in canzoni.

             di Rabindranath Tagore


Capita a volte di trovarsi a camminare in questa nostra wasteland come nel labirinto della poesia di Wisława Szymborska, una via dopo l'altra,/ma senza ritorno. I corridoi, le svolte, le scorciatoie intricate,si aprono e si chiudono; ci addentriamo dove c'è buio ed incertezza
ma insieme chiarore. Alcuni sentieri interrotti ci costringono indietro e di nuovo avanti e a volte, riprendiamo a immetterci sempre nello stesso cammino, un errare che sembra non finire. Il labirinto  ha cessato di essere immagine del percorso che ogni uomo deve fare per raggiungere la parte più vera e nascosta di sé. "La prova del labirinto", come la chiamava Mircea Eliade, uno dei massimi esperti di religioni e tradizioni, che è innanzitutto ricerca del centro, del proprio centro interiore. 

E' piuttosto il nostro un girovagare, un perdersi di qui o di qua/magari per di lì ...
che spesso rende l'animo pesante e il cuore gelido. Non è Teseo l'eroe che si addentra nel labirinto, ma il Dedalus dei romanzi di Joyce, il giovane artista desideroso di affrancarsi da ogni legame con le tradizioni della sua terra per esprimere integralmente se stesso. Come il solitario Dedalus i moderni girovaghi della wasteland cercano sopratutto di sfuggire alle insidie del labirinto, ai suoi inganni, alle sue tortuosità. Finiscono in tal modo per dimenticare che solo cercandone il centro e affrontando colui che vi abita potranno uscire fuori.

Viviamo in un labirinto, tutti noi, che lo sappiamo oppure no. Non fa differenza. E dai suoi meandri spesso vorremmo far sentire la nostra voce, parlare, scrivere, mandare un messaggio qualsiasi. Perché nel labirinto, come nel palazzo di Atlante creato dalla fantasia di Ariosto, alla fine siamo soli, inseguendo ciò che ci sfugge e che è destinato a deluderci. Come è naturale che accada quando cerchiamo fuori di noi ciò che dovrebbe dare senso alla vita.

Le parole tuttavia non sembrano funzionare così bene: piccole contorte parole, scarabocchiate su tutto il foglio le definisce Amy Lowell nella poesia che abbiamo pubblicato pochi giorni fa. Per quanto ci sforziamo di usarle bene, esse non sono che sciocche astuzie ed intrighi, incapaci di esprimere la florescenza del biancospino; la parola come la carta su cui viene scritta è fragile, muta, liscia, vergine di dolcezza.

Nel labirinto sperduti e senza più fiducia nella forza della parola. Tale mi appare la condizione dell'uomo moderno.

Il poeta indiano Rabindranath Tagore ci indica nella poesia Al risveglio una pista poco battuta, percorsa ormai di raro, una pista lontana dalle stazioni di cambio e dalle mura dei villaggi. Pochi segnavia indicano la strada, solo - a volte - una stella tenue.






domenica 12 gennaio 2020

da ovunque verso ovunque

Convesso e concavo, di M.C. Escher


Labirinto


E ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po' a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.

Una via dopo l'altra,
ma senza ritorno.
Accessibile soltanto
ciò che sta davanti a te,
e laggiù, a mo' di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farti sfuggire.
Quindi di qui o di qua
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraverso infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo,
fino a molti ancora aperti,
dove c'è buio ed incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c'è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell'infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d'improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c'è.


 Deve pur esserci un'uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
e lei fin dall'inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua, finché è possibile,
la tua, finché è tua
fuga, fuga.

di Wislawa Szymborska, dalla raccolta Due punti  (Adelphi). Traduzione di Pietro Marchesani

domenica 7 luglio 2019

Amore a prima vista

                                                                                                             grazie Francesca  ...

Amore a prima vista


Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.

Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

Wisława Szymborska, Amore a prima vista,
Piccola Biblioteca Adelphi 2017 a cura di di Pietro Marchesani