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domenica 25 maggio 2025

Un presagio sacrilego

 



Sibilla palmifera, Dante Gabriel Rossetti, Lady Lever Art Gallery.

Sibilla


La mia lingua si mosse, un cardine che ruota e si distende.

Le dissi, «Che ne sarà di noi?»

E come acqua scordata in un pozzo si scrolla

a un’esplosione mattutina


o una crepa fila al culmine del tetto,

lei cominciò a parlare.

«Credo che la nostra essenza sia destinata a cambiare.

Cani assediati. Regressi al rango di sauri. Vite formicolanti.


Salvo che il perdono trovi nerbo e voce,

salvo che l’albero elmato e sanguinante

rinverdisca e apra gemme come pugni d’infanti,

e il magma infetto covi


ninfe splendenti… . La mia gente pensa ai soldi

e parla del tempo. Trivelle cullano il suo avvenire

su singoli avidi steli. Il silenzio

si è addensato nelle eco-sonde dei pescherecci.


La terra su cui a lungo abbiamo posato l’orecchio

è spellata o callosa, nelle sue viscere

bivacca un presagio sacrilego.

La nostra isola è piena di rumori sconsolati.»

          traduzione di  Leonardo Guzzo e Marco Sonzogni, da Lavoro sul campo, Milano, Biblion Edizioni, 2020


Sibyl


My tongue moved, a swung relaxing hinge.

I said to her, ‘What will become of us?’

And as forgotten water in a well might shake

At an explosion under morning


Or a crack run up a gable,

She began to speak.

«I think our very form is bound to change.

Dogs in a siege. Saurian relapses. Pismires.


Unless forgiveness finds its nerve and voice,

Unless the helmeted and bleeding tree

Can green and open buds like infants’ fists

And the fouled magma incubate


Bright nymphs… . My people think money

And talk weather. Oil-rigs lull their future

On single acquisitive stems. Silence

Has shoaled into the trawlers’ echo-sounders.


The ground we kept our ear to for so long

Is flayed or calloused, and its entrails

Tented by an impious augury.

Our island is full of comfortless noises.»


Quella che leggete qui sopra non è la prima poesia di Seamus Heaney, che compare sul blog della stella tenue, se vi è piaciuta questa, frugando tra le vecchie pagine del blog, troverete dell'altro. Ne vale la pena, credetemi. Ai versi del poeta irlandese, premiato con il Nobel nel 1995,  mi piace tornare quando posso, soprattutto in tempi come questi (lo so, è troppo tempo che lo ripeto). Nella poesia di Heaney sembra descritta un'umanità non diversa da quella con cui conviviamo: è vero che i tempi in cui fu scritta Sibilla erano quelli dei troubles, allora le strade di Belfast o di Derry erano insanguinate da violenza e ferocia, ma oggi? Non è lo stesso anche in queste mattine di Maggio?  Se provo a volgere lo sguardo un po' più lontano dal mio cortile, ecco che mi appare un'affollarsi di persone, di volti come cani assediati. Regressi al rango di sauri. Vite formicolanti. 

E il desolato paesaggio di vite a pezzi, mescolate a quelle di sicofanti e soverchiatori

E' in tempi simili dunque che sento il richiamo dei canti che giungono da un altrove sconosciuto, versi che di certo riescono a rendere il mondo un posto ancora degno di essere - per lo meno - attraversato.

Ma poi c'è Dante all'esordio di questa poesia: quel momento straordinario della Vita Nuova, in cui per descrivere il sopraggiungere misterioso di una nuova ispirazione, il poeta della Commedia usa un'immagine indimenticabile: 

Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa

Come nei versi di Heaney: La mia lingua si mosse ...

Al cospetto di Beatrice come sulla soglia della dimora della Sibilla non agisce più la sola creatività dell'uomo, non è questione di aver appreso un arte più o meno sublime. Ad un impulso irresistibile ed immemoriale piuttosto siamo ammessi ad assistere, al dischiudersi immediato di un istinto, di un appello ineludibile e salvifico.

Mi piacerebbe scoprire il sentiero che ha portato Heaney al cospetto di quella voce numinosa, mi piacerebbe anche soltanto vedere da lungi che il ramo d'oro ancora viene concesso a chi ne sia degno, che un regno è aperto per quanti non si rassegnano al presagio sacrilego  che bivacca nelle viscere della terra. 



venerdì 24 luglio 2020

Scaverò con questa

fotografia di Elizabeth Holder


Scavare


Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna, comoda come una pistola.

Da sotto la finestra, un suono aspro e netto
quando la vanga affonda nella terra ghiaiosa:
mio padre, che scava. Mi affaccio e guardo

finché la sua groppa tesa nello sforzo tra le aiuole
s’abbassa, si rialza vent’anni addietro
curvandosi ritmicamente tra i solchi di patate
dove stava scavando.

Il rozzo scarpone annidato sulla staffa, il manico
saldo contro l’interno del ginocchio a fare leva.
Sradicava gli alti ciuffi, affondava la lama lucente
per sparpagliare le patate novelle che raccoglievamo
stringendole con piacere fredde e dure tra le mani.

Per Dio, il mio vecchio la sapeva maneggiare, la vanga.
E così il suo.

Mio nonno tagliava più torba in una giornata
di ogni altro nella torbiera di Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
con un tappo di carta abborracciato. Si raddrizzò
per bere, poi si rimise subito al lavoro,
fendenti e affondi netti, gettandosi le zolle
sopra la spalla, andando sempre più giù
dove la torba era migliore. Scavare.

L’odore freddo del terriccio sulle patate, il risucchio e lo schiaffo
della torba impregnata, i tagli netti di una lama
su radici vive mi si ridestano nella mente.
Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.

Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna.
Scaverò con questa.

 di Seamus Heaney (traduzione di Marco Sonzogni)


La poesia Digging (questo il titolo originale) fu pubblicata per la prima volta nel 1964 sulla rivista New Statesman e pochi anni dopo venne scelta dall'autore come poesia di apertura della sua prima raccolta, "Morte di un naturalista". Si tratta dunque di una poesia alla quale lo stesso Heaney ha attribuito il compito di esprimere la propria idea di cosa voglia dire scrivere versi.

Lo si capisce si dall'inizio: la penna riposa comodamente tra le dita dello scrittore, è a suo agio, si adatta alla mano come il calcio di una pistola. Come questa colpisce il suo bersaglio se ben puntata, la penna traccerà sulla carta la sua rotta fino a raggiungere ciò per cui si è messa in movimento. 

Ora un rumore attira l'attenzione del poeta, un suono aspro e netto, il rumore di un vanga che affonda nella terra. E' suo padre, con la schiena china che s'alza e s'abassa, lo stesso movimento, un ritmo uguale da vent'anni. Il pensiero ripercorre oggetti e gesti consueti: lo scarpone, il manico saldo contro il ginocchio, la lama lucente  che affonda nella terra, le patate strette con piacere fra le mani.  Lo conosce bene il lavoro dei campi Seamus Heaney, che è cresciuto in una fattoria, a Mossbawn, nella contea di Derry dove il padre - e il padre di suo padre - facevano i contadini e gli allevatori.

La penna traccia i suoi simboli sulla carta, scava anch'essa nella memoria di quei gesti misurati, pieni di fatica, della nobiltà di un antico rituale e li porta in superficie: l'odore della torba, il sapore del latte, lodore freddo del terriccio sulle patate, il taglio netto della vanga, sempre più giù. Scavare.

Ma non ho vanga per seguire uomini come loro soggiunge il poeta ritornando al presente. Un'altra via ed un'altra fatica lo aspettano. Non potrà seguire la loro strada.

Scrivere poesia tuttavia dovrà essere uguale alla dura fatica dello scavare: bisogna affondare la lama e portare alla luce ciò che è si trova coperto, custodito da radici vive. Bisogna scavare nella terra dei padri, in quel paesaggio, tra quelle zolle, sotto quella stessa angolazione della luce, bisogna scavare con lo stesso amore e con la stessa umiltà, anche con la stessa disperazione, di chi scavava la torba per sottrarre la casa al freddo, alle tenebre la notte. 

Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna.
Scaverò con questa.

martedì 11 febbraio 2020





ELICONA PERSONALE
a Michael Longley


Da bambino non potevano tenermi lontano da pozzi
e vecchie pompe con argano e secchio.
Adoravo la discesa nel buio, il cielo intrappolato, gli olezzi
d’erbaccia acquatica, funghi e umido muschio.

Uno, in una mattonaia, aveva un’asse marcia sul colmo.
Gustavo l’intenso impatto quando un secchio
vi cadeva alla fine di una corda a piombo.
Così profondo che non vi si vedeva specchio.

Uno, sotto un muretto a secco, poco profondo,
fruttificava come un acquario. E se tiravi
lunghe radici dal pacciame sul fondo
un viso bianco vi aleggiava.

Altri avevano echi, restituivano i richiami
con una nuova nitida musica. E un altro
metteva paura perché laggiù, tra felci e digitali,
attraverso il mio riflesso schizzò un ratto.

Adesso, curiosare tra radici, tastare il limo,
contemplare, Narciso dai grandi occhi, qualche sorgente
va oltre ogni dignità di adulto. Rimo,
per potermi vedere, per rendere il buio echeggiante.


di Seamus Heaney

da Death of a Naturalist, 1966, traduzione di Marco Sonzogni

Il poeta irlandese Seamus Heaney (Mossbawn, Castledawson, Irlanda del Nord, 13 aprile 1939; Dublino, Repubblica d’Irlanda, 30 agosto 2013) ha rappresentato una delle voci più significative ed intense della letteratura mondiale, ha ottenuto nel 1995 il premio Nobel. Nel 2016 è uscito il Meridiano a lui dedicato a cura di Marco Sonzogni.

Il monte Elicona al quale si fa riferimento nella poesia si trova in Grecia, tra le sue balze vi era la sorgente Ippocrene, cara alle Muse. Chi si abbeverava alle acque che da essa scaturivano riceveva dalle dee l'ispirazione poetica. Il primo ad ottenere tale dono fu Esiodo che le aveva incontrate mentre pascolava le sue greggi sulle pendici del monte. Furono loro a ispirargli la Teogonia.

La sua Elicona personale Heaney la trovava tra vecchi pozzi, con argani e secchi, nel cielo intrappolato, fra gli odori d’erbaccia acquatica, funghi e umido muschio. Un ragazzo gioca tra un asse marcio e il rumore del secchio che cade a piombo su uno specchio di cui non si vede il riflesso. Il richiamo di una musica o di un'eco, un muretto a secco, la paura per un ratto che all'improvviso si palesa formano un insieme di suoni ed immagini da cui scaturisce la sua vocazione poetica. Sono come la fonte di Ippocrene. E' lì che Heaney ha incontrato le sue Muse: una terra viva di odori, tradizioni e colori, straziata da oppressione e tirannia . Il suo paesaggio, il suo orizzonte, le sue radici.

Nell'ultima stanza la voce del poeta ci confessa, con un tono in qualche modo amaro, che quei giochi non si addicono alla dignità di un adulto. Solo la poesia rimane, l'arte del rapsodo

... Rimo,
per potermi vedere, per rendere il buio echeggiante.