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domenica 26 marzo 2023

le scissioni, la crepa ed i passaggi

 


Celati


Cela te stesso con maschere e trucchi

stringi gli occhi come chi vede male,

che dal tuo volto mai si distingua 

dove sono il tuo essere, il tuo crollo.


Ultime luci, lungo bui giardini

il cielo un rovinio di notti e incendi -

celati: dove lacrimi e resisti

la carne ove ciò si compie non si veda.


Le scissioni, la crepa ed i passaggi,

il nocciolo dentro cui vieni annientato

celali, come se i tuoi canti di lontano

venissero da una gondola vicina.


Gottfried Benn, Frammenti e distillazioni, traduzione di Anna Maria Carpi


Una poesia per questi tempi, segnati dalle grida dei venditori di almanacchi e dal brusio pieno di fervore degli zelanti. 

E' a se stesso che il poeta parla. La prima strofa ha il gusto della sollecitudine: nasconditi avverte, cela il tuo volto con maschere e trucchi, come un giullare di fronte al suo pubblico o come il fuggitivo al cospetto della ronda che lo va cercando. L'invito è poi ripetuto con l'esortazione - di uguale urgenza - a stringere gli occhi come chi vede male: che nessuno possa distinguere dove è la sua essenza, ciò che lo costituisce come essere irripetibile, creatura diversa da ogni altra. Soprattutto, che nessuno possa intuire dove sia il suo crollo. Questo sta a cuore alla voce che ammonisce. Già... non siamo che identità singolari, imperfette, preziose ed irregolari, ma inevitabilmente destinate a sgretolare in macerie.

La strofa successiva si apre nel segno della visione, un paesaggio tra luce ed ombra. Il cielo è un rovinio di notti e incendi. L'immagine è potente e piena di una fascinazione misteriosa: la natura del cielo è spesso associata alla liberazione dai vincoli della materia o all'ascesi salvifica, non qui. Qui non è altro che il luogo della caduta rovinosa, il cui tratto distintivo è il buio della notte o la feroce allegria dell'incendio.

Celati, ammonisce dunque la voce e pare di avvertire la  premura del comando. Celati, là dove ti concedi alle lacrime o dove tenti l'ultima disperata resistenza. Non veda occhio umano la tua carne, là dove si sparge il suo destino irrimediabile.

Nell'ultima strofa di nuovo torna l'invito al nascondimento e tuttavia precedono il verbo alcune immagini significative: le scissioni, la crepa ed i passaggi. Sono l'oggetto che va nascosto, il segreto che deve essere celato. In tutte e tre mi sembra scorrere la stessa forza allusiva: c'è una superficie, solida come il granito e resistente come pietra d'angolo, ma ecco, si aprono impreviste scissioni, subitanee crepe, passaggi stretti ed impervi. Non siamo forse noi qui ad essere rappresentati? mura ben difese su cui si aprono crepe, bastioni indeboliti da nascosti passaggi, densa materia segnata da imperdonabili scissioni.  

Ben altro poi sia nascosto, comanda l'io poetico: il nocciolo dentro cui vieni annientato. Subito dopo le immagini inziali delle scissioni, delle crepe e dei passaggi, un'altra dunque si sovrappone ed esige la nostra attenzione. Benn qui si muove lungo una traiettoria dell'emozione volutamente ambigua. Da un lato infatti ciò che accade dentro il tegumento del seme non può che richiamare il processo di generazione del mondo vegetale: una nuova pianta è destinata a sorgere dall'annientamento delle strutture vitali presenti all'interno del nocciolo, una forma nuova prende così vita dalla distruzione di un'altra. Né possiamo ignorare che tale processo nel corso del tempo si è progressivamente caricato di profondi significati allegorici, persino spirituali, come nella parabola del vangelo di Giovanni secondo cui il chicco di grano che se non muore non può fare frutto. Nulla di tutto questo nella poesia di Benn. L'immagine su cui ci siamo soffermati è sottratta a qualunque vocazione sacrificale, ad ogni prospettiva salvifica. Il nocciolo è solo il luogo più segreto che custodisce la fragile esistenza umana, la potenzialità germinativa rimane inerte e nulla sembra poter sorgere dall'estremo annientamento.

Ho l'impressione però che questo invito a celare se stessi e quanto di più prezioso viva in noi non esorti alla fuga del disertore, ma all'occultamento necessario in vista dell'unica forma di rivolta ormai possibile, quella estetica, che si può realizzare nell'arte in genere e ovviamente nella poesia. Sono gli ultimi versi a indurmi a questa ipotesi:

come se i tuoi canti di lontano

venissero da una gondola vicina.

Se non è difficile vedere nei canti la metafora della poesia, più impegnativa si rivela la riflessione attorno al nesso sintattico "come se" che fa da collegamento con l'esortazione al nascondersi. Cela tutto ciò che hai più caro  - dice insomma il poeta - come se la tua arte fosse la canzone di un barcaiolo...

Cosa ci sta dicendo il poeta? 

La locuzione scelta da Benn ci immette in una terra incognita, ci sollecita ad una maggiore vigilanza intellettiva, ad uno sforzo interpretativo in grado di discernere l'apparenza - i canti che provengono da una gondola vicina - da una realtà altra, altrimenti sfuggente. E' qui che mi sembra di scorgere in azione quella strategia del nascondimento che opera in tutta la lirica, una strategia che non è rinuncia, ma intenzione lucidamente messa in atto. Se l'intento è quello di dissimulare le potenzialità della poesia sotto l'aspetto più modesto della melodia popolare, del canto umile e dimesso, alieno da ogni pretesa di rivelazione vaticinante, qual è la ragione di tale stratagemma? Credo che la risposta vada cercata in quel clima di devastazione materiale e spirituale della civiltà europea della quale, finita la seconda guerra mondiale, il poeta era testimone. Il precipizio in cui la condizione umana è sprofondata da un lato esclude ogni progettualità nell'ambito del politico, dall'altro ogni possibile ricerca di riscatto personale. Solo nell'arte si dischiude l'estrema forma di resistenza al ferreo dominio del regno della quantità. Inevitabile strumento dell'artista è tuttavia il ricorso all'accorta strategia della dissimulazione, in virtù della quale - come si è detto - il poeta traveste i suoi canti con gli abiti semplici della canzone popolare, prossima e familiare - in apparenza -  a colui che ascolta. E' solo per mezzo di tale operazione di mascheramento che il poeta può fare ancora la sua parte, vinto dallo scatenamento dell'ultima era ma non renitente, annientato ma non per questo incapace di alzare nella notte il suo canto di lontano.

giovedì 30 gennaio 2020

e restare in se stesso nulla vuole

Campi dei non beati


fotografia di Ansel Adams


Sazio son io della mia sete d'isole
del morto verde, dei muti greggi;
divenire voglio una riva, un piccolo golfo,
un porto di belle navi.

Da uomini vivi con caldi piedi
percorsa vuol sentirsi la mia spiaggia;
in bramosia d'offerta la sorgente
mormora e a gole vuol dar refrigerio

E tutto in sangue estraneo vuol levarsi
e in un diverso fiammeggiar di vita
annegare il suo anelito
e restare in se stesso nulla vuole.


di Gottfried Benn, da "Morgue" (Einaudi, traduzione di Ferruccio Masini)


Quando nel 1912 Gottfried Benn pubblica la raccolta "Morgue" ha ventisei anni, è un medico militare che esercita la sua professione a Prenzlau e a Berlino. Ferruccio Masini ha descritto l'atmosfera di quegli anni come un "periodo segnato dal sovvertimento dei vecchi schemi umanistico- liberali ad opera di una informe tempesta d'energie - l'espressione è di Musil. 

La Morgue, il tavolo operatorio, i corpi dissezionati,  le vite che questi resti impalliditi raccontano, sono lo strumento di una esigenza di svelamento della realtà che non procede solo nel segno della demolizione del linguaggio lirico e dei suoi clichés, dei valori del passato e delle sue liturgie. Tali immagini in Benn diventano, secondo Masini "i geroglifici di una negazione per la quale non occorre il grido, ma basta il gesto, e che non cerca figura né anima. "

“Imperdonabile Benn, - scrive Cristina Campo - e non certo nel suo sacco cinerognolo di peccatore politico [… ], bensì nella sua stola purpurea di confessore della forma: l’autore di alcune poesie solo possibili al magistero del più alto maestro in molti anni di lingua tedesca, poiché di questo si tratta, alla fine. Imperdonabile Benn, che afferma non dover essere il poeta lo storico del proprio tempo, anzi il precursore al punto da ritrovarsi di millenni alle spalle di quel tempo, l’antecessore al punto da poter profetare dei più lontani cicli avvenire. Testimone soltanto di ciò che immobilmente perdura: un guerriero, una stella, una morte, un cespuglio di sorbo".

La poesia Campi dei non beati è posta ad apertura dell'edizione Einaudi di Morgue, che raccoglie - ad opera del grande germanista Ferruccio Masini - i componimenti più significativi del periodo 'espressionistico' di Gottfried Benn, periodo al quale appartengono le cinque poesie che precisamente costituiscono il ciclo di Morgue. In questa poesia già dal titolo possiamo cogliere all'opera lo scrupoloso rovesciamento della prospettiva avviato dal poeta tedesco: non le "isole dei beati" dei poeti classici, non i campi Elisi di Virgilio sono qui la fonte d'ispirazione e l'oggetto del desiderio: Sazio son io della mia sete d'isole dice piuttosto il poeta. I luoghi verdeggianti e la mitezza delle greggi appaiono come un colore di morte e assenza di voce.

divenire voglio una riva, un piccolo golfo...un porto di belle navi. A tale immagine si sovrappone quella della spiaggia percorsa da uomini vivi, poi quella  della sorgente desiderosa di offrire refrigerio. 

Non si dovrebbe tuttavia scorgere in questi versi un accenno ad una visione solidaristica della vita o la fiducia in una forza immanente nella natura che inclina ogni aspetto di essa verso il suo scopo. Nel mondo di Benn - come nota il curatore dell'edizione italiana di Morgue - "sembrano salvarsi, sull'esile filo di una pietà non destinata all'uomo, solo le cose umili e dolci", mentre il tutto brama di annegare il suo anelito e non c'è nulla che voglia restare in se stesso. Ciò che è vivo vuole spegnere ogni desiderio di altra vita, se non quella 'assolutamente 'altra' che arde in un diverso fiammeggiar e nessuna cosa che contribuisce a formare tale tutto pare paga della condizione in cui si trova, del destino che gli spetterebbe.






martedì 19 novembre 2019

Un’ombra sul muro





Un’ombra sul muro 
di rami, a mezzodí mossi dall’aria, 
è già abbastanza terra 
e in rapporto all’occhio 
un sufficiente prendere parte 
ai giochi del cielo. 

Quanto pensi ancora d’avanzare? Vieta 
alle nuove impressioni 
d’irrompere dentro di te – 

star coricati, in silenzio, 
in vista dei propri campi, 
entro i confini del feudo, 
e soprattutto sostare 
a lungo presso il papavero 
che non si dimentica 
perché ha retto tutta l’estate – 

dov’è finito ? 

                                 di Gottfried Benn

venerdì 9 agosto 2019

In ogni ora




In ogni ora,
in ogni parola
continua sanguina
la ferita della creazione,

mutando la terra
e stillando il miele
al cuore del divenire
e in sé ritorna.

Diede ali a tutto
ciò che Dio creò,
agli Sciti le staffe,
all’unno lo zoccolo —

solo non far domande
e non voler capire;
è chi non si ferma
che regge il cielo,

solo quest’ora,
la sua luce di saga,
e poi la ferita,
di più non c’è.

I campi sbiancano,
il pastore chiama,
e questo è il segno:
bevi, dissetati,

lo sguardo nell’azzurro,
una vista lontana:
questa è la fedeltà,
di più non c’è,

fedeltà ai regni
che sono tutto,
fedeltà al segno
anche se passa,

uno scambio, una danza,
una luce di saga,
un silenzio che inebria,
di più non c’è.

                                                                      Gottfried Benn

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

giovedì 27 giugno 2019

Pensa a chi è stato invano

PENSA A CHI È STATO INVANO           di Gottfried Benn


Se un disperare – 
tu che hai pur avuto ore grandi 
e certezze e il dono di tante 
ebbrezze e aurore e svolte 
inattese 
e di potervi anche indugiare – 
se un disperare, 
sia pure con estinzioni e annientamenti, 
dall’insondabile ti vuole 
in suo potere: 
pensa a chi è stato invano, 
tempie delicate, sguardi introversi, 
fedeltà di ricordi 
che lasciavano poca speranza 
ma anche loro chiedevano fiori, 
e con un sorriso poco espressivo 
sollevavano il non detto, il taciuto 
al loro piccolo cielo 
prossimo a spegnersi. 


da Gottfried Benn, Frammenti E Distillazioni, a cura di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino, 2004.