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domenica 29 dicembre 2024

nei potentati delle chiome brune

 

Icona russa de "La fuga in Egitto"

Fuga in Egitto



…un cammelliere, spuntato chissà mai da dove.

Nel deserto, scelto per il miracolo dal cielo,

si trovarono insieme, per via di affinità,

sotto un ricovero notturno, e accesero il falò.

Nella spelonca, tra cumuli di neve, e senza presentire

il proprio ruolo, sonnecchiava il piccino in un’aureola

di capelli d’oro che con irruenza avevano fatto pratica

di luminescenza non solo ora, nei potentati

delle chiome brune, ma per davvero, al pari

di una stella che brilla ovunque: finché dura la terra.


                                                                                                                25 dicembre 1988

Iosif Brodskij, da "Poesie di Natale" Adelphi


Tra le diverse storie che hanno dato vita alla tradizione cristiana del Natale, mi ha sempre affascinato quella della fuga in Egitto; è una piccola parte, in effetti, di un racconto più vasto ed importante, appena tre versetti (13-15) del capitolo 2 del vangelo di Matteo. Gli altri evangelisti non ne hanno conservato la memoria. Eppure quei pochi versetti hanno dato vita ad una straordinaria fioritura di leggende e racconti che oggi chiamiamo "vangeli apocrifi". Il razionalista spesso guarda a tale tradizione con malcelata diffidenza, a lui non piacciono certo le palme che, nel deserto, piegano i loro rami per donare i propri frutti alla sacra famiglia, allo stesso modo disdegna il corteo di leoni e leopardi che secondo il vangelo dello pseudo-Matteo (un testo che risale probabilmente al secolo X della nostra era) si accompagnano, portentosa e splendida scorta al re bambino, a Giuseppe e Maria. A me invece piace perdermi nell'incanto favoloso di quelle narrazioni, così ricche di immagini e simboli, volti a destare i sensi più profondi dell'uomo interiore. Di questo piccolo episodio della buona novella mi ha sempre colpito anche un altro aspetto: esso mostra - da una parte - il volto feroce e crudele del potere, che non esita di fronte a nulla pur di difendersi, nemmeno a massacrare bambini innocenti; dall'altra svela la sua intima debolezza, il carattere illusorio della sua invulnerabilità. Erode è ossessionato dal fatto che qualcuno possa prendere il suo posto, si rivolge alla scienza di astrologi e sapienti, tesse la sua trama di insidie, dissemina il suo regno di informatori e spie, ma i suoi disegni sono destinati ad andare in fumo, tutti: prima gli sfuggono tra le dita i sapienti Magi venuti da Oriente, poi - e soprattutto - l'erede della promessa, l'albero di Jesse, il bimbo nato in una stalla. 

Rembrandt, paesaggio con riposo durante la fuga in Egitto -1647
Un'impressionante messe di opere d'arte di altissimo valore ha preso spunto dalla scena della fuga in Egitto: si trova scolpita nella cappella Palatina di  Palermo, in numerose varianti gli artisti asceti della cristianità ortodossa l'hanno raffigurata sulle venerate icone che adornano nascosti monasteri ed antiche chiese; con quel piccolo episodio della grande storia dell'incarnazione si sono cimentati pittori come Giotto, Vittore Carpaccio   e Rembrandt.
Segno evidente di una energia germinativa la cui azione perdura nei secoli, attraversando culture e popoli differenti. 

Il fatto che un poeta come Iosif Brodskij, nato in una famiglia di cultura ebraica e cresciuto nei dogmi dell'ateismo di Stato sovietico, abbia sentito la potenza emotiva dei racconti sul Natale può sorprendere a prima vista, ma in realtà è stato lo stesso poeta russo ad aver  rivelato - in un'intervista degli anni Novanta  - che il  suo interesse per questo tema è nato fin dal primo momento in cui prese seriamente a comporre poesie. E in effetti Brodskij ha cominciato a scrivere sul Natale fin dal 1962, quando aveva ventidue anni ed ha continuato fino al dicembre del 1995, un anno prima di morire. Queste poesie, tradotte da Anna Raffetto, sono confluite in una raccolta pubblicata in Italia da Adelphi nel 2004. Proprio da questo libro è tratta la poesia di cui oggi vi propongo la lettura.

Le prime immagini sembrano richiamare l'attenzione del lettore sul fatto che nel racconto evangelico c'è un non so che di irriducibile alla ragione calcolatrice: il cammelliere spunta da chi sa dove, i tre fuggitivi si dirigono verso il deserto perché il cielo  - per miracolo - ha indicato loro la via, tutti si ritrovano insieme per via d'affinità. Non ci è dato di sapere di quale affinità si parli: forse il cammelliere sta scappando anche lui dagli sgherri del re o forse tutti i protagonisti della storia sono resi affini dal partecipare, in un modo o nell'altro, ad un disegno più alto, la cui sceneggiatura non è ancora del tutto chiara, almeno per loro.

Sono in una grotta, accendono un falò per combattere il freddo, come nel quadro di Rembrandt, ma una luminescenza prodigiosa e potente emana dai capelli del bambino, sfidando la superbia delle tenebre, la loro pretesa di avere l'ultima parola. E' una luce molto antica, poiché la sua epifania non ha sconvolto solo i potentati delle chiome brune, dove il piccolo è nato, ma sfolgora al pari / di una stella che brilla ovunque: finché dura la terra.

Chesterton ha scritto che «le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono. I bambini lo sanno bene che i draghi esistono. Le fiabe insegnano che i draghi possono essere sconfitti»; lo scrittore inglese molto probabilmente non pensava al testo del vangelo di Matteo quando la scrisse, in ogni caso credo che essa illumini perfettamente il senso profondo del racconto di questa famiglia che fugge l'odio degli uomini, trovando rifugio lì dove solo i profeti, i pazzi o i fuggiaschi si arrischiano ad andare


mercoledì 28 agosto 2019

Cieco ero, nulla più...

                         
                                                             di Iosif Brodskij

Io ero solamente  ciò
che tu toccavi, quello
su cui - notte fonda, corvina -
la fronte reclinavi tu.

Io ero solamente ciò
che tu là in basso distinguevi:
sembiante vago, prima, e poi
molto più tardi, tratti.

Sei tu, ardente,  che
sussurrando hai creato
la conchiglia dell'udito
a destra, a a manca, là, qui.

Tu che nell'umida cavità,
tirando quella tenda, 
hai messo voce, perché 
potesse te chiamare.

Cieco ero, nulla più.
Tu, sorgendo, celandoti,
hai dato a me la facoltà
 di vedere. Si lasciano scie

così, e si creano così
mondi. Spesso, creati,
si lasciano ruotare così,
elargendo regali.

E, gettata così
in caldo, in freddo, in ombra, in luce,
persa nell'universo,
ruota la sfera e va.

1980

      Chi siamo? Lo abbiamo forse chiesto al filosofo, allo scienziato, al teologo, poche volte al poeta. Josif Brodskij prova a dircelo con i suoi versi: saremmo privi di consistenza, di solidità e volume, come meduse senza scheletro. Nessuna capacità di udire o di  parlare, ciechi incapaci di distinguere le cose intorno a noi... Così saremmo, nulla più, se non ci costituisse come persone in carne e ossa lo sguardo di chi ci ama e che noi amiamo. Il gesto delicato del viso che su di noi reclina, il sussurro, il sorgere e e il celarsi. Solo da tale incontro, che innanzitutto è dono gratuito, nascono mondi, universi che trovano la propria ragione d'essere nell'elargire regali, a nient'altro sono destinati.

Chi è Josif Brodskij?
                                                 
Il giorno 4 di giugno del 1972 abbandonava la Russia, con una piccola edizione delle poesie di John Donne in tasca e quasi nient’altro. La prima persona che Brodskij cercò in Occidente fu W.H. Auden. Su un prato del villaggio austriaco di Kirchstetten, il delfino dell’Achmatova e l’anziano poeta inglese, troppo chiaro per essere capito dai suoi contemporanei, si intesero in una communicatio idiomatum che non si sarebbe più interrotta, come testimonia la mirabile orazione funebre pronunciata da Brodskij nel decennale della morte del poeta: scritta in inglese, «per compiacere un’ombra». Da quel giorno Iosif Brodskij è diventato anche Joseph Brodsky, residente a New York ma di ascendenza tutta pietroburghese, se non vi è luogo come Pietroburgo «dove i pensieri si distacchino altrettanto volentieri dalla realtà». Così, «è con l’emersione di San Pietroburgo che la letteratura russa è entrata nell’esistenza». Molti dei tratti stilistici peculiari di Brodskij sembrano derivati, per osmosi, dalla città: la disciplina dei colonnati illusionistici, la luce pallida e diffusa, «dove occhio e memoria operano con inusuale acuità», l’onnipresenza dell’acqua, questa «forma addensata del Tempo», il soffio di vento saturo di alghe. In questo microclima alessandrino, dove l’Europa venne a riflettersi in uno specchio gigantesco, si è compiuta una prodigiosa eruzione di letteratura moderna, da Puškin a Mandel’štam, nel segno di un classicismo allucinatorio. E oggi quel luogo, che è un linguaggio, continua a vivere proprio in Brodskij, nelle schegge delle sue immagini, nei suoi metri sapienti, magari celati da una temeraria sprezzatura. In questo volume sono state raccolte, in accordo con l’autore, poesie degli anni 1972-1985, anni di un esilio che preesisteva alla partenza e al tempo stesso non sarà mai, perché Brodskij ha la sua patria nella lingua russa. Così ci accorgiamo di leggere i suoi versi, dopo Mandel’štam, la Cvetaeva, l’Achmatova, come parte di un’unica storia (dal risvolto del volume Poesie, Adelphi 1986).

Arrestato nel novembre del 1963, Iosif Brodskij, il poeta, fu processato il 18 febbraio 1964. Naturalmente, l’esito del processo era dato per ovvio: “Al processo non poterono assistere tutti coloro che lo avrebbero desiderato in quanto i posti furono occupati da lavoratori convocati dalle autorità per ingiuriare l’imputato nel corso delle udienze” (Marco Clementi, Storia del dissenso sovietico, Odradek Edizioni 2007, p.46). Il processo divenne emblematico: nonostante le promesse di apertura, l’Urss stritolava i dissidenti, mandava al confino i poeti. La trascrizione del dialogo tra il giudice e l’imputato, il poeta – il poeta per sua natura è sempre l’imputato, colui che è messo all’indice – ci è giunta, clandestinamente, grazie a Frida Vigdorova. Eccone alcuni passaggi.

Giudice: Qual è la sua specializzazione?
Brodskij: Sono poeta. Poeta e traduttore.
G: E chi l’ha riconosciuta come poeta? Chi ha inserito il suo nome tra quello dei poeti?
B: Nessuno. E chi ha inserito il mio nome tra quello degli uomini?
G: Avete studiato per questo?
B: Per cosa?
G: Per diventare poeta. Non avete frequentato un istituto dove preparano… dove insegnano…
B: Non credo che questo si possa ottenere con un’istruzione.
G: Ma con cosa, allora?
B: Io credo che… venga da Dio

Nel maggio 1972 Brodskij fu chiamato dall'ОVIR, il dipartimento per i visti e gli stranieri dell'Unione Sovietica. Lì viene posto davanti alla scelta: emigrazione immediata oppure prepararsi a subire quotidiani interrogatori, carcerazioni e reclusioni in ospedali psichiatrici. Intanto nel 1964 gli era già capitato due volte di essere ricoverato negli ospedali psichiatrici e questo era stato per Brodskij, stando ai suoi stessi scritti, molto peggio dell'esilio o del carcere. Brodskij non esita, a questo punto, a lasciare l'Unione Sovietica.


Un ottimo articolo, caldamente consigliato, su Iosif Brodskij  e la sua resistenza contro il Male lo trovate qui http://www.pangea.news/iosif-brodskij-poesie-carcere/.