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sabato 28 ottobre 2023

Come nelle tempeste fosse pace!

 


La vela


Biancheggia vela solitaria

Del mare nell'azzurra bruma ...

Cosa in lontana terra cerca?

Al paese natio cosa ha lasciato?


Fremono l'onde, il vento fischia

L'albero piega e geme ...

Ahimè ! felicità non cerca

E da felicità non viene!


Sott'essa il flutto più chiaro del cielo

Sopra, del sole d'oro il raggio ...

Ed essa inquieta chiede la tempesta,

Come nelle tempeste fosse pace !


                Michail Jur'evič Lermontov (traduzione di Tommaso Landolfi)


Una vela solitaria naviga sotto un cielo limpido, tracciando la sua misteriosa rotta su acque più limpide ancora. Non sappiamo cosa l'abbia spinta a mettersi per mare, di cosa vadano in cerca gli uomini che si affannano tra alberi, gomene e cime; nessuno di quelli che sono qui a terra ci sa dire cosa abbiano lasciato nel loro paese. La vela si gonfia, le onde fremono, mentre il mondo intorno sembra sereno, luminoso, rassicurante. Una bella giornata, fatta apposta - sembrerebbe - per stendere le gambe al sole e lasciarsi andare. 

Non così però è quella barca. Che non ha conosciuto molta felicità e neppure la cerca più. Inquietudine la spinge, inquietudine le dà forza e vigoria, cancellando rimpianti od abitudini. Chiede la tempesta e fugge il mare tranquillo, anela a correnti impetuose, disprezza gli approdi sicuri e va a caccia di passaggi perigliosi. Si illude forse che solo lì, dove tutto viene messo in gioco, solo nella sfida del vento di burrasca le cose riacquistino un loro ordine, un loro senso. Almeno per un po'...

Il poeta tuttavia conosce quel che al navigante ora sfugge. Il suo ultimo verso non è che un sospiro, pieno di partecipazione: Come nelle tempeste fosse pace!

venerdì 25 ottobre 2019

Il pugnale



Ti amo, mio pugnale d’acciaio intarsiato,
Compagno gelido che abbaglia.
Un georgiano per la vendetta ti forgiò,
Un circasso ti affilò per la battaglia.
Una bianca mano a me ti ha donato
In segno di ricordo nella separazione,
E la prima volta non sangue da te colò,
Ma una tersa lacrima-perla di afflizione.


E fissando i neri occhi su di me,
Ricolmi di segreto dolore,
Come il tuo acciaio sul tremulo fuoco,
Erano a volte buio, a volte splendore.


Datomi per compagno, pegno muto d’amore,
Su di te il viandante può contare:
Come te, come te, amico mio d’acciaio,
La mia anima è salda e non potrà cambiare.

(1838)


 di Michail Jur'evič Lermontov traduzione di Paolo Statuti da:

 https://lombradelleparole.wordpress.com/2015/04/13/quindici-poesie-di-michail-jurevic-lermontov-1814-1841-tradotte-da-paolo-statuti-con-presentazione-di-antonio-sagredo/


Michail Lermontov attraversò le lettere russe come una meteora. Più giovane di Puškin di quasi una generazione, crebbe in un mondo già lontano dai modelli classici e incapace di confrontarsi con la sua eccezionale opera poetica. Un’opera che, soprattutto nell’ultimo lustro, condurrà Lermontov ai vertici della lirica romantica, non solo russa.
La vita breve, intensa, influenzata dal modello byroniano – che plasmò l’involucro esteriore dell’uomo, fatto di orgoglio luciferino e sprezzante cinismo –, si riflette in componimenti dominati da eroi solitari, da esclusi e proscritti alla costante ricerca di un riscatto. Le loro passioni titaniche vivono sullo sfondo di una natura visionaria che spazia dalle vette innevate e dai fiumi vorticosi del Caucaso alla Spagna di Don Juan o alla Scozia di Ossian, dalla Palestina ardente alla Russia dell’epos popolare, richiamando così le remote contrade care ai romantici inglesi e tedeschi.
Summa degli eroi di Lermontov è il Demone, creatura ribelle e dannata che cerca la salvezza in un amore impossibile. All’eroe di tenebra per eccellenza, e agli altri mondi simbolici e paralleli che gli fanno da cornice in questa antologia – quello del gioco a carte, ovvero l’alea dell’esistenza; quello delle maschere, ovvero il vuoto delle apparenze; quello di un Oriente affocato, ovvero i deserti dell’anima –, Tommaso Landolfi, lui stesso «perenne forestiero» della vita, presta una prodigiosa vena lirica e un dettato di assoluta musicalità .
(dal sito Adelphi  https://www.adelphi.it/libro/9788845920899

La poesia Il Pugnale di Lermontov non può essere apprezzata se non la si colloca nello scenario del Caucaso, dove il poeta russo si trovò più volte a combattere in scontri feroci ... il Caucaso, dove la storia si è divertita a mescolare etnie e popoli, linguaggi e religioni in una manciata di terra il cui paesaggio è altrettanto variegato: dai ghiacciai eterni ad aree semi desertiche, dai pascoli di montagna alla foresta pluviale. 

Circassi, Ceceni, Azeri, Cosacchi, Ebrei della montagna, Ingusci, Georgiani, Osseti ed Armeni. Moschee, cupole ortodosse e sinagoghe, ed ogni valle un'usanza diversa, diversi  costumi, ospitalità sacra e ferocia di briganti, coltelli sguainati ed amori che bruciano, passioni subitanee e vendette eterne. 

Questa terra misteriosa e straordinaria fu raccontata da Erodoto. La attraversò Jan Potocki  lo scrittore polacco che conversava con Marat e De Maistre, un gentiluomo viaggiatore che conosceva l' ebraico, il greco, il latino, l' arabo, e quasi tutte le lingue moderne. un illuminista attratto dalla sapienza occulta della cabala e dei testi ermetici.
Vi giunse anche  Alexandre Dumas fra il giugno 1858 e il marzo 1859 per raccontare una delle tante guerre sante che in quelle terre si sono combattute, aspramente, senza pietà a volte. "Il cimitero degli invasori", in questo modo  Dumas definisce questa terra, che è l'incubo di chiunque voglia tracciare confini o stabilire frontiere, perché le cose degli uomini non stanno dentro a linee tracciate troppo nettamente.

Come il pugnale di questa poesia, forgiato da un Georgiano per la vendetta e affilato da un Circasso per la battaglia, ma anche pegno di amore che stilla terse lacrime dal colore di perla.