Primo preavviso
In fondo che cosa c'importa
Che tutto si tramuti in cenere,
Su quanti abissi ho cantato,
In quanti specchi ho vissuto?
Che io non sia né sonno né gioia
E, meno di tutto, grazia beatificante,
Ma, forse, più di quanto necessiti
Ti toccherà rammentare
E il rombo dei versi smorzantisi,
E l'occhio che al fondo nasconde
Quel rugginoso serto pungente
Nel suo silenzio angoscioso.
Mosca, 6 giugno 1963
Anna Achmàtova, da "Poema senza eroe" (traduzione di Carlo Riccio)
Riprendo a scrivere dopo un po' di tempo, sollecitato dalla lettura del libro "Vi avverto che vivo per l'ultima volta" dedicato ad Anna Achmatova da Paolo Nori. Un libro acceso di passione, cupo senza essere disperato, bello di una bellezza non consolatoria. Nelle sue pagine la vita difficile della poetessa russa si mescola alle tragedie dei nostri giorni: le persecuzioni politiche, la guerra, l'importanza della poesia, la temerarietà disinvolta di chi sfida il potere. In un continuo oscillare tra passato e presente.
Poche poetesse mi coinvolgono come Anna Achmàtova. Lo confesso. Prendete questa poesia, dodici versi bellissimi, un linguaggio che vibra della forza incandescente delle immagini subito dai primi due versi: In fondo che cosa c'importa / Che tutto si tramuti in cenere. Un incipit straordinario, seguito da altri due versi impressionanti, Su quanti abissi ho cantato. Si coglie in questi versi, in modo limpido, il senso di ciò Cristina Campo ha chiamato "il coraggio dell'attenzione" e che coincide con il nocciolo stesso della poesia.