Se il sonno fosse (c’è chi dice) una
tregua, un puro riposo della mente,
perché, se ti si desta bruscamente,
senti che t’han rubato una fortuna?
tregua, un puro riposo della mente,
perché, se ti si desta bruscamente,
senti che t’han rubato una fortuna?
Perché è triste levarsi presto? L’ora
ci deruba d’un dono inconcepibile,
intimo al punto da esser traducibile
solo in sopore, che la veglia dora
di sogni, forse pallidi riflessi
interrotti dei tesori dell’ombra,
d’un mondo intemporale, senza nome,
che il giorno deforma nei suoi specchi.
Chi sarai questa notte nell’oscuro
sonno, dall’altra parte del tuo muro?
Il testo originale è così bello in spagnolo che merita di essere letto in originale:
Si el sueño fuera (como dicen) una
tregua, un puro reposo de la mente,
¿por qué, si te despiertan bruscamente,
sientes que te han robado una fortuna?
tregua, un puro reposo de la mente,
¿por qué, si te despiertan bruscamente,
sientes que te han robado una fortuna?
¿Por qué es tan triste madrugar? La hora
nos despoja de un don inconcebible,
tan íntimo que sólo es traducible
en un sopor que la vigilia dora
de sueños, que bien pueden ser reflejos
truncos de los tesoros de la sombra,
de un orbe intemporal que no se nombra
y que el día deforma en sus espejos.
¿Quién serás esta noche en el oscuro
sueño, del otro lado de su muro?
Nella poetica di Jorge Luis Borges alcuni temi ed immagini ricorrono con una frequenza significativa: l'orologio, lo specchio, l'ombra, il labirinto ed - appunto - il sueño che in spagnolo vuol dire al tempo stesso "sonno" e "sogno". A questo tema lo scrittore ha anche dedicato un piccolo studio, una storia generale dei sogni, che attinge ai suoi scritti e alle sue letture sterminate, da Plutarco a Mircea Eliade, passando da William Butler Yeats e l'epopea di Gilgamesh. Questo piccolo gioiello è stato pubblicato nella Piccola Biblioteca Adelphi con il titolo "Libro dei sogni", un'esperienza di lettura straordinaria, un viaggio tra i secoli, le civiltà più lontane e i luoghi più suggestivi.
La poesia di Borges prende avvio da un'ipotesi, da un interrogativo: se il sonno è solo una pausa, una tregua rispetto alla vita e alle sue faticose battaglie, come mai, se qualcuno ci sveglia in modo brusco, ci sembra di essere stati derubati di una misteriosa ricchezza, di un bene inestimabile, intimamente nostro.
Il risveglio a cui allude il poeta non è quello dell'ozioso, forzatamente sottratto alla sua inerzia, né quello del melanconico, prigioniero incatenato alle proprie angosce. E' piuttosto un'altra l'esperienza che è al centro delle immagini evocate dai versi di Borges. Ciò si può cogliere alla fine della seconda quartina, lì dove si prova a descrivere il dono del quale siamo derubati. Questo dono sfugge innanzitutto ad ogni tentativo di rappresentazione razionale, è inconcepibile, nel senso che il pensiero non è capace di descriverne la natura. Siamo, al tempo stesso, consapevoli della straordinaria fortuna che nel sonno ci viene consegnata e del tutto incapaci di misurarne i caratteri o le forme.
Un'altra qualità, tuttavia, il poeta intuisce come propria di tale dono: esso è talmente intimo - ovvero così connaturato alla profondità della nostra anima (in quel luogo dove abbiamo spesso difficoltà noi stessi a spingere lo sguardo) che le parole sono insufficienti, non bastano a tracciare una definizione. E se proprio volessimo dargli un nome - ci avverte Borges - potremmo usare la parola sopore, ma si tratterebbe pur sempre di un azzardo, di un maldestro tentativo, di un'approssimazione scivolosa.
Non sembra proprio una gran cosa questo dono ... non è forse il sopore uno stato di obnubilamento dei sensi? un ottenebramento della coscienza? In verità questa impressione immediata si svela subito fallace non appena leggiamo ciò che il sopore realizza, cioè ricoprire la materia umile e dimessa dello stato di veglia con il pregiato oro dei sogni. Siamo di fronte ad un ribaltamento deciso del normale sistema di valori secondo cui i sogni sono ombre evanescenti, mentre è sulla realtà del giorno che si possono costruire certezze affidabili. Al contrario i versi del poeta argentino ci spingono in una direzione diversa: sono i sogni - ciò che in essi si riesce a scorgere - ad essere la cosa più importante. Certo, non sono che pallidi riflessi di tesori più grandi, che abitano nell'ombra, in un mondo senza tempo e senza nome. E tuttavia ciò che nei sogni si riflette - forse in modo imperfetto - è ciò che più ci avvicina all'essenza stessa delle cose. Se questa non può che sfuggirci, non cesseremo di cercarla, seguendo quelle tracce labili e interrotte che intravediamo di tanto in tanto quando abbiamo gli occhi aperti.