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giovedì 26 settembre 2024

Il sentimento più profondo si rivela sempre in silenzio

 

Glass flowers, parte del Harvard Museum of Natural History


Silenzio


Mio padre era solito dire,

“La gente superiore non fa mai lunghe visite,

non ha bisogno di vedere la tomba di Longefellow

o ad Harvard i fiori di vetro.

Fiduciosa di sé come il gatto -

che la sua preda conduce in disparte

con l’afflosciata coda del topo che gli oscilla come un

laccio da scarpe dalla bocca -

talvolta apprezza la solitudine,

e può venir spogliata del linguaggio

dal linguaggio che l’ha deliziata.

Il sentimento più profondo si rivela sempre in silenzio;

anzi, non in silenzio, ma in ritegno.”

Né egli era falso nel dire, “Fate della mia casa il vostro

albergo.”

Perché gli alberghi non sono residenze.

                       Marianne Moore, Le poesie, Adelphi 1991

                

                                    per chi volesse leggere la versione originale :


   My father used to say,

“Superior people never make long visits,

have to be shown Longfellow’s grave

or the glass flowers at Harvard.

Self-reliant like the cat —

that takes its prey to privacy,

the mouse’s limp tail hanging like a shoelace from its

mouth —

they sometimes enjoy solitude,

and can be robbed of speech

by speech which has delighted them.

The deepest feeling always shows itself in silence;

not in silence, but restraint.”

Nor was he insincere in saying, “Make my house your inn.”

Inns are not residences.                   

                        

                

Sono debitore a Cristina Campo di molte importanti scoperte, tra queste, non di poco conto, è quella della poetessa americana Marianne Moore, alla cui opera il lettore italiano può accedere attraverso la traduzione curata da Lina Angioletti e Gilberto Forti per  Adelphi. Nel momento in cui mi sono dedicato a capire meglio l'idea di poesia della scrittrice americana, mi è stata utile una frase, trovata sul sito della casa editrice, con la quale la Moore spiegava l'arte di un altro importante poeta, Wallace Stevens; questi era riuscito a cogliere il significato profondo della poesia nel momento in cui parlava di essa come di “una violenza interna che ci protegge da una violenza esterna”». La poesia - così mi sembra di capire - sarebbe dunque un'atto creativo che opera una qualche forma di violenza sul linguaggio abitudinario e consueto, sulle parole comuni, quotidiane, trasformandole in qualcosa di completamente diverso. E questa specie di incantesimo, operato sulla parola, brucia e incide ferite profonde, erige una barricata con detriti e rovine, con ammassi di oggetti dimenticati, con l'arrugginita ferraglia abbandonata per le strade, un bastione innalzato contro la violenza del mondo di fuori ... Mi piace quest'immagine, perché restituisce all'atto poetico il suo carattere di urgenza vitale, di voce impellente e non consolatoria, che non nasconde il giogo della necessità che incombe su ogni uomo.

Proprio quella «violenza interna» ha consentito a Marianne Moore di dare vita ad un’opera segnata ovunque da una vocazione esigente per la forma perfetta, tanto che la poetessa riuscì ad imporsi all’ammirazione di poeti così diversi come Ezra Pound, Thomas S. Eliot, William Carlos Williams e Wystan Hugh Auden. Oggi la sua opera poetica - secondo la presentazione adelphiana - è universalmente considerata una pietra preziosa, inscalfita e durissima, che continua a rifulgere di una luce lieve e limpida, inconfondibile

In una prospettiva non diversa, Eliot sottolineava che la poesia della Moore è tutt’altro che “libera” (come potrebbe sembrare anche nei versi che qui leggiamo, quasi privi di rima) e che molti dei suoi versi seguono schemi formali non solo rigidi, ma talvolta complicati, quasi fossero accompagnati dal movimento elegante di un minuetto. Cristina Campo, per descrivere più o meno la stessa cosa, usava invece il termine di arpeggi repentini. A tal genere di forma preziosa e lieve mi sembrano appartenere anche alcuni passaggi della poesia di oggi: le immagini della tomba di Longfellow o dei fiori di vetro, in cui mi sembra di cogliere il simbolo di una realtà, raffinata e prestigiosa, ma ormai priva di vita e di calore. Una luce lieve e limpida sfiora anche i versi che descrivono la qualità peculiare della gente superiore che

... può venir spogliata del linguaggio

dal linguaggio che l’ha deliziata

Il lettore più attento avrà colto qui non solo la studiata concentrazione di figure retoriche: il chiasmo, l' anadiplosi e l'antitesi, ma anche - sul piano del significato - il fatto che la spoliazione del linguaggio prepara paradossalmente la rivelazione del verso più decisivo ed intenso  dell'intero componimento: 

Il sentimento più profondo si rivela sempre in silenzio

L'opera della scrittrice americana - come dicevamo - ha avuto molti estimatori, ma quando mi sono soffermato sulla poesia "Silenzio" subito mi è venuto in mente quando Cristina Campo scrive che la Moore, speciosa e inflessibile come tutti i visionari, persegue niente di meno che l’ardua e meravigliosa perfezione: una divina ingiuria da venerare nella natura, da toccare nell’arte, da inventare gloriosamente nel quotidiano contegno». E quel contegno di cui la Campo scrive non è forse in sintonia con il restraint della nostra poesia? non sono forse ritegno, moderazione, contegno, sinonimi di quell'atteggiamento interiore al tempo stesso riservato e regale  che distingue la gente superiore ? 

Non è facile dire cosa produca quelle risonanze emotive così evidenti nei versi della poetessa americana, ma per me è qualcosa che ha a che fare con quanto ha scritto Nadia Fusini a proposito del fatto che la ricerca poetica della Moore raggiunge la sua forza espressiva più autentica attraverso uno stile costruito sulla lingua parlata, su un’espressione viva, corporea, che nasce dal silenzio e nel silenzio si articola, prende forma. Come il gatto, che con la preda ancora tra le fauci, si ritira nel suo angolo solitario.

Certo, Silenzio è una lirica non priva di un suo carattere enigmatico, che può lasciare perplessi coloro che nei versi vogliono disbrogliare ogni immagine simbolica, spiegare ogni metafora.  Riconosciamo con facilità che la voce dell'io lirico appartiene ad una figlia, pronta a condividere il ricordo degli insegnamenti impartiti da suo padre riguardo alla natura della gente superiore.  Tale voce - lo sappiamo - non coincide con quella della scrittrice, che il padre lo conobbe a stento, dato che era stato ricoverato in una clinica psichiatrica prima della sua nascita.  Secondo quanto ha rivelato la stessa Moore la poesia nasce da una conversazione con la signorina A.M. Homans, professoressa di Igiene al Wellesley College, la quale stava ricordando le parole di suo padre. Tuttavia alcune cose continuano a sfuggirci: ad esempio non possiamo dire con chiarezza a quale genere di persone il padre si riferisca quando parla di gente superioreSecondo me le allusioni alla gente superiore non si riferiscono ad un ceto sociale privilegiato: nessuna immagine in effetti ci rimanda agli agi della ricchezza o del benessere materiale. La superiorità di cui si parla nella poesia mi sembra piuttosto legata ad una qualità interiore, quella di chi non ha bisogno di ricevere elogi a buon mercato, seguendo le mode comuni. La tomba del magniloquente poeta Longfellow o le perfette ricostruzioni dei fiori realizzate in vetro per il Museo di Storia Naturale di Harvard, in questo senso, potrebbero alludere ad una maestria ormai esangue, ad una passione ormai inaridita dal tempo, sebbene da molti ancora tenuta in stima; entrambi si rivelano oggetto di attenzione per mera consuetudine, perché è così che si fa, luoghi che somigliano a magneti potenti in grado di attrarre a sé l'ampia famiglia umana dei conformisti. 

Più agevole - probabilmente - si rivela il compito di interpretare la similitudine del gatto, che tenendo in bocca la propria preda, con giusto riserbo si apparta solitario. Gli studiosi ritrovano qui un elemento ricorrente dell'arte della poetessa americana, la sua convinzione quasi religiosa che nella forma fisica, nel corpo animale (che è «stile di vita» e modo di essere dettato dalla Natura, o da Dio), è depositata una saggezza, un senso della realtà immediata e cosmica che noi non possediamo o che è divenuto labile. Quando la Moore si sprofonda nella contemplazione di un animale, - è stato scritto - tutte le sue facoltà più forti e più sottili si risvegliano, si animano. Così, nei versi di "Silenzio" l'impresa felina, pur ridimensionata dalla nuova similitudine che mette in relazione la coda del topo con un comune laccio di scarpe, spinge il lettore a comparare la sobria fierezza del gatto alla vanagloria e alla superbia di tanti successi volgarmente ostentati. 

Nei riguardi dell'insegnamento del padre, in chiusura della poesia, la voce lirica mostra una approvazione non priva di ambiguità, riconoscendo la sostanziale sincerità dell'invito a prima vista garbato:  fate della mia casa un albergo. La spiegazione di tale apprezzamento è tuttavia meno scontata, perché si fonda su una distinzione di non immediata comprensione, quella tra albergo e residenza, ovvero tra un luogo accogliente ed ospitale, ma adatto a visite fugaci, improvvisate, rapide, ed un altro luogo, costruito per soggiorni prolungati, colmo di arredi familiari e di comodità pensate per una lunga permanenza. La casa, in tal senso, potrebbe essere una metafora della dimensione più nascosta e profonda dell'animo, alla quale è bene concedere l'accesso ad alcune, scelte persone, in vista di frequentazioni intense e piacevoli, ma necessariamente brevi, come quelle di un albergo. Le parole pronunciate dal padre, dunque, non sono false, poiché accolgono il visitatore con sincero spirito di ospitalità, ma con la riserva implicita  - puntualizzata dal commento della figlia - che la visita non si trasformi in un'indiscreta invadenza. A mio avviso, ma qui siamo davvero nel campo di ipotesi non dimostrabili, la simbologia di questi ultimi versi rimanda di nuovo a quella rara virtù del riserbo, del contegno, del silenzio con cui è necessario preservare il proprio mondo interiore, lì dove sono custoditi tesori preziosi, inestimabili e tuttavia assolutamente fragili. Non a tutti destinati.