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domenica 29 giugno 2025

una lampada deserta

 


Edvard Munch, Morte nella camera di una ammalata


Una lampada deserta

nel calmo vestibolo.

Un'ombra è desta

dove sorge il catafalco.


Sul catafalco è posto

un feretro ornato di fiori.

Nel vestibolo è esposto

il corpo fatale.


Non si dice chi fosse

nel sogno che egli ebbe.

E l'ombra in attesa

è la vita che fu.


Fernando Pessoa, Poesie esoteriche, Guanda 2000,a cura di Francesco Zambon


L'interesse di Fernando Pessoa per la ricerca interiore e metafisica, guidato da dottrine e pratiche esoteriche è il centro di irradiazione della raccolta curata da Francesco Zambon e della quale oggi  presento una di quelle che fin dalla prima lettura hanno attirato la mia attenzione.

L' introduzione a questo aspetto meno conosciuto della attività del grande poeta portoghese è ben documentata e chiarisce la centralità dei suoi interessi spiritualistici: oggi sappiamo che  in questa sua opera incessante e illusionistica, Pessoa molto attinse a fonti esoteriche, e di tale ricerca sussistono ricche testimonianze fra le migliaia di sue pagine manoscritte alla Biblioteca Nazionale di Lisbona. «In primo luogo sentire i simboli,  sentire che i simboli hanno vita e anima – che i simboli sono come noi» troviamo scritto in uno dei frammenti della sua filosofia ermetica.

La poesia che oggi il blog della stella tenue presenta, va letta in questa chiave eminentemente simbolica, ma è anche molto bella per le immagini che propone, tanto che, a mio avviso, essa può affascinare e coinvolgere anche chi di questa ricerca spirtualistica di Pessoa non sappia nulla. A me sono piaciuti soprattutto i versi della strofa finale: 

Non si dice chi fosse / nel sogno che egli ebbe. / E l'ombra in attesa / è la vita che fu.

Il nome del defunto, quindi tutto ciò che associamo comunemente alla storia di un individuo, che leghiamo alla sua identità, a quello che riteniamo irripetibile e prezioso (ed ovviamente lo è) non è che un sogno che dilegua, accanto alla lampada, il catafalco, i fiori. Di un'ombra, lì accanto, si dice prima che essa è desta, poi che è in attesa, ma altro non è dato sapere, almeno fintanto che non apprendiamo un'altra arte del vedere, un'altra disciplina del conoscere.

domenica 25 maggio 2025

Un presagio sacrilego

 



Sibilla palmifera, Dante Gabriel Rossetti, Lady Lever Art Gallery.

Sibilla


La mia lingua si mosse, un cardine che ruota e si distende.

Le dissi, «Che ne sarà di noi?»

E come acqua scordata in un pozzo si scrolla

a un’esplosione mattutina


o una crepa fila al culmine del tetto,

lei cominciò a parlare.

«Credo che la nostra essenza sia destinata a cambiare.

Cani assediati. Regressi al rango di sauri. Vite formicolanti.


Salvo che il perdono trovi nerbo e voce,

salvo che l’albero elmato e sanguinante

rinverdisca e apra gemme come pugni d’infanti,

e il magma infetto covi


ninfe splendenti… . La mia gente pensa ai soldi

e parla del tempo. Trivelle cullano il suo avvenire

su singoli avidi steli. Il silenzio

si è addensato nelle eco-sonde dei pescherecci.


La terra su cui a lungo abbiamo posato l’orecchio

è spellata o callosa, nelle sue viscere

bivacca un presagio sacrilego.

La nostra isola è piena di rumori sconsolati.»

          traduzione di  Leonardo Guzzo e Marco Sonzogni, da Lavoro sul campo, Milano, Biblion Edizioni, 2020


Sibyl


My tongue moved, a swung relaxing hinge.

I said to her, ‘What will become of us?’

And as forgotten water in a well might shake

At an explosion under morning


Or a crack run up a gable,

She began to speak.

«I think our very form is bound to change.

Dogs in a siege. Saurian relapses. Pismires.


Unless forgiveness finds its nerve and voice,

Unless the helmeted and bleeding tree

Can green and open buds like infants’ fists

And the fouled magma incubate


Bright nymphs… . My people think money

And talk weather. Oil-rigs lull their future

On single acquisitive stems. Silence

Has shoaled into the trawlers’ echo-sounders.


The ground we kept our ear to for so long

Is flayed or calloused, and its entrails

Tented by an impious augury.

Our island is full of comfortless noises.»


Quella che leggete qui sopra non è la prima poesia di Seamus Heaney, che compare sul blog della stella tenue, se vi è piaciuta questa, frugando tra le vecchie pagine del blog, troverete dell'altro. Ne vale la pena, credetemi. Ai versi del poeta irlandese, premiato con il Nobel nel 1995,  mi piace tornare quando posso, soprattutto in tempi come questi (lo so, è troppo tempo che lo ripeto). Nella poesia di Heaney sembra descritta un'umanità non diversa da quella con cui conviviamo: è vero che i tempi in cui fu scritta Sibilla erano quelli dei troubles, allora le strade di Belfast o di Derry erano insanguinate da violenza e ferocia, ma oggi? Non è lo stesso anche in queste mattine di Maggio?  Se provo a volgere lo sguardo un po' più lontano dal mio cortile, ecco che mi appare un'affollarsi di persone, di volti come cani assediati. Regressi al rango di sauri. Vite formicolanti. 

E il desolato paesaggio di vite a pezzi, mescolate a quelle di sicofanti e soverchiatori

E' in tempi simili dunque che sento il richiamo dei canti che giungono da un altrove sconosciuto, versi che di certo riescono a rendere il mondo un posto ancora degno di essere - per lo meno - attraversato.

Ma poi c'è Dante all'esordio di questa poesia: quel momento straordinario della Vita Nuova, in cui per descrivere il sopraggiungere misterioso di una nuova ispirazione, il poeta della Commedia usa un'immagine indimenticabile: 

Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa

Come nei versi di Heaney: La mia lingua si mosse ...

Al cospetto di Beatrice come sulla soglia della dimora della Sibilla non agisce più la sola creatività dell'uomo, non è questione di aver appreso un arte più o meno sublime. Ad un impulso irresistibile ed immemoriale piuttosto siamo ammessi ad assistere, al dischiudersi immediato di un istinto, di un appello ineludibile e salvifico.

Mi piacerebbe scoprire il sentiero che ha portato Heaney al cospetto di quella voce numinosa, mi piacerebbe anche soltanto vedere da lungi che il ramo d'oro ancora viene concesso a chi ne sia degno, che un regno è aperto per quanti non si rassegnano al presagio sacrilego  che bivacca nelle viscere della terra. 



sabato 15 marzo 2025

finché il sangue muoverà nel petto la tua oscura stella

 




Il messaggio del professor Cogito



Va’ dove andarono quelli fino al limite oscuro

in cerca del vello d’oro del nulla tuo ultimo premio


va’ fiero tra quelli che sono in ginocchio

fra chi volta le spalle e  chi è rovesciato nella polvere


ti sei salvato non per vivere 

hai poco tempo  bisogna dare testimonianza


sii coraggioso quando la ragione viene meno sii coraggioso

alla fine  è la sola cosa  che conta 


e la Collera tua impotente sia come il mare

ogniqualvolta udrai la voce di umiliati e percossi


non ti abbandoni il tuo fratello Disprezzo

per spie carnefici vigliacchi – saranno loro a vincere

e verranno al tuo funerale  gettando con sollievo una zolla


e il tarlo scriverà la tua biografia addomesticata


e non perdonare invero non è in tuo potere

perdonare in nome di chi è stato tradito all’alba


guardati tuttavia dall’inutile orgoglio

osserva allo specchio la tua faccia da giullare

ripeti: sono stato chiamato – non ce n'erano di migliori?


guardati dall’aridità del cuore ama la fonte mattutina

l’uccello dal nome ignoto la quercia d’inverno

la luce sul muro lo splendore del cielo


ad essi non serve il tuo caldo respiro

ci sono soltanto per dire: nessuno ti consolerà


veglia – quando la luce sui monti darà il segnale – alzati e va’

finché il sangue muoverà nel petto la tua oscura stella


ripeti gli antichi scongiuri dell’umanità  fiabe e leggende

perché così raggiungerai il bene che non raggiungerai


ripeti le grandi parole ripetile con ostinazione

come quelli che avanzavano nel deserto e perivano nella sabbia


e ti premieranno con ciò di cui dispongono

con sferzate di riso l'uccisione su un immondezzaio


va’ perché solo così sarai accolto nella cerchia dei freddi crani

nel manipolo dei tuoi avi: Gilmameš Ettore Rolando

difensori del regno senza confini e della città delle ceneri


Sii fedele Va’.


di Zbigniev Herbert, traduzione di Pietro Marchesani (Adelphi 1993)



Scritta nei giorni difficili di anni segnati da feroci lotte e crudeltà inumane, questa poesia non è meno adatta gli scuri giorni che ci stanno davanti. La ruota della storia compie un'altra giravolta e il coraggioso, il carnefice, il sicofante si muovono lungo traiettorie già cantate: chi Ettore, chi Efialte, chi Falaride.

Come alla voce poetante di questa bella poesia di Herbert, un combattimento attende anche noi, tutto interiore, a noi solamente destinato. E tutto ciò che c'è di necessario in questi versi, tutto ciò che serve, quella voce lo rivolge al proprio animo, a se stesso: in forma di anafora ricorre l'imperativo, l'invito ad andare verso limiti oltre i quali in pochi hanno osato dirigersi,  oppure va’ fiero tra quelli che sono in ginocchio / fra chi volta le spalle e  chi è rovesciato nella polvere e poi ancora sii coraggioso quando la ragione viene meno, in effetti è davvero l'unica cosa che conta.

Tra i diversi ammonimenti di questi versi, mi è particolarmente caro quello che così dice: 

ripeti gli antichi scongiuri dell’umanità  fiabe e leggende 

... come a dire che ogni grandezza dell'animo sorge dagli antichi riti nei i quali siamo stati cresciuti e dalle leggende che ci hanno nutrito con aurei insegnamenti. 

Non so il futuro cosa preveda per la nostra generazione e per quella dei nostri figli e - per certi versi - la devastazione delle guerre presenti è solo la manifestazione sensibile della generale devastazione dello spirito umano, in ogni caso, la poesia di oggi si rivela un viatico portentoso ed inevitabile. Da portare con sè.

mercoledì 5 febbraio 2025

senza lasciare traccia

 



INSONNIA INVERNALE


La mente non può dormire, può solo giacere sveglia,

ingolfata, ad ascoltare la neve che si aduna

come per l’assalto finale.


Vorrebbe che venisse Cechov a somministrarle

qualcosa – tre gocce di valeriana, un bicchiere

d’acqua di rose – qualunque cosa, non importa.


La mente vorrebbe uscire di qui

fuori sulla neve. Vorrebbe correre

con un branco di bestie irsute, tutte denti,


sotto la luna, in mezzo alla neve, senza

lasciare traccia, neanche un’impronta, nulla.

E’ malata, stasera, la mente.


                traduzione di Francesco Durante, Edizioni minimum fax


Winter Insomnia

The mind can’t sleep, can only lie awake and

gorge, listening to the snow gather as

for some final assault.


It wishes Checkov were here to minister

something—three drops of valerian, a glass

of rose water—anything, it wouldn’t matter.


The mind would like to get out of here

onto the snow. It would like to run

with a pack of shaggy animals, all teeth,


under the moon, across the snow, leaving

no prints or spoor, nothing behind.

The mind is sick tonight.


Una poesia per questo periodo di notti invernali, quando la mente rimane sveglia e l'orecchio si tende ad ascoltare le neve che si aduna, con un suo fare minaccioso, quasi ostile. In notti come queste urge un desiderio di pace interiore - non importa come ottenuto - e a questo desiderio un altro si sovrappone d'un tratto, diverso, se non contrario: uscire di qui / fuori sulla neve correre / con un branco di bestie irsute, tutte denti, come lupi selvaggi e feroci, mossi dal puro istinto, fedeli solo alla propria natura.

Correre sotto la luna, in mezzo alla neve, senza / lasciare traccia, neanche un’impronta, nulla. L'immagine d'istinto mi piace molto, non so bene perché: correre nella neve, sotto la luna, vuol dire lasciare tracce di sé, impronte del proprio passaggio, orme che segnano un percorso, quindi una storia, con le sue conseguenze, memorie, ricordi, ferite e gioie. Non si può correre nella neve e non lasciare tracce, se non nei versi di una poesia o nell'anelito di una mente che non trova requie in una notte d'inverno. 

Lo sappiamo che non è necessario cercare sempre un significato nelle immagini delle poesie, eppure in questa particolare immagine indugio, ritorno, ne percorro le possibilità, tortuose come stretti corridoi di labirinti, ma il filo di Arianna è perduto. Notte d'inverno, passa veloce per favore.