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domenica 31 agosto 2025

Sullo scettro di Zeus dorme l'aquila

 

Per Ierone Etneo



Strofe I           Cetra d’oro, di Apollo e delle Muse dai ricci di viole

                      il bene più esclusivo, tu, che il passo della danza ascolta

                                               per dare inizio alla festa splendida,

                      

                        e gli aedi si sottomettono alla tua guida,

                       quando fai udire il tuo suono e dai l’avvio al preludio

                  che conduce il coro: 


tu spegni al lampo guerriero la vampa

dell’eterno fuoco, e sullo scettro di Zeus dorme l’aquila

                entrambe le rapide ali abbandona,

 

Antistrofe            

              la regina degli uccelli, ché una nube dall’apparenza

             oscura hai versato

             sul suo capo adunco, chiudendole mite le palpebre; nel sonno

         si culla il dorso reso docile, preso

        tuo ritmo. Così anche Ares violento: la punta feroce della lancia

         lascia riposare e ristora l’animo

         nel sonno. Tu incanti le armi e le anime degli dei

 con la maestria del figlio di Latona

 e delle Muse dal cinto profondo.

 

Pindaro, Pitica I, prima strofe


Il testo che oggi vi propongo di leggere -  o rileggere - è molto antico, chi lo ha scritto, il poeta Pindaro, visse infatti tra l'ultimo quarto del VI secolo a.C. e la metà del V; Le sue poesie sono essenzialmente odi destinate a celebrare le vittorie ottenute in una delle feste panelleniche che si tenevano periodicamente in Grecia: ad essere innalzati dalla poesia e dal canto ad una fama immortale erano gli atleti oppure i signori delle città da cui essi provenivano Nel caso dell'ode qui riportata la vittoria era stata ottenuta, attorno al 470,  nelle Pitiche, le feste in onore dell' Apollo di Delfi. Durante questo genere di feste, come è noto, si sospendevano le guerre e venivano indette competizioni sportive o gare di musica e poesia. Per i Greci, si sa, l'esistenza stessa era una gara, una tensione verso il gesto perfetto, una spinta ad eccellere con cui l'uomo mirava ad elevarsi al cospetto dei suoi dèi. 

Di questa tensione inesausta alla perfezione Nietzche aveva perfettamente colto lo spirito quando - in Umano troppo umano - scriveva "L'uomo pensa nobilmente di sé quando si dà dei simili" e quando ammoniva: "Dove gli dèi olimpici arretravano, anche la vita era più fosca e piena di paura". La visione greca sapeva bene che il momento della vittoria era destinato in breve a trascorrere, pure, in quel momento contemplava la rivelazione dei regni dell'essere che lì manifestavano la pienezza e la molteplicità della vita. 

Oltre all'enorme distanza temporale che ci separa da questi versi, un aspetto soprattutto è motivo di difficoltà per il lettore moderno, il fatto che la destinazione celebrativa di queste odi fa sì che da una parte esse siano strettamente legate ad episodi concreti, a vittorie precisamente datate, alle storie familiari degli atleti o dei signori delle città dei vincitori, dall'altra in esse sono continui i richiami a varianti di miti locali o a quelle espressioni ricercate, alte, preziose che sole possono essere usate per descrivere le potenze numinose da cui ogni vittoria nasce. Insomma si tratta di una poesia al cospetto della quale noi moderni richiamo di trovarci spaesati; invano cercheremo - ad esempio - quella disponibilità a svelare la propria interiorità che oggi consideriamo ingrediente necessario e insostituibile di ogni espressione poetica.

La prima pitica, di cui oggi propongo solo la prima strofe,  celebra la vittoria nella gara delle quadrighe del re di Siracusa, ma l'occasione dell'impresa quasi scompare all'inizio del canto, tutto intessuto attorno alla potenza dell'armonia e della musica. Non la propria arte eternatrice vuole elogiare qui il poeta, quanto la cetra d'oro che appartiene ad Apollo e alle Muse: il bene più esclusivo, atteso con premura nell'istante irripetibile del primo passo di danza; la guida alla quale gli aedi si sottomettono al vibrare dell'accordo che rompe il silenzio. La potenza aurea della cetra  qui è colta nell'abbacinante luce dorica: ogni divenire sembra arrestarsi, la vampa del lampo guerriero si spegne e sullo scettro di Zeus dorme l’aquila, abbandonando al riposo le proprie ali; sul suo capo adunco infatti l'armonia del canto numinoso ha versato una nube dall’apparenza oscura. Persino Ares violento: la punta feroce della lancia lascia riposare e ristora l’animo nel sonno. Il potere della cetra di Apollo si manifesta come una forza che ogni cosa sovrasta, seduce ed avvince. Non c'è nulla di vivente che non debba piegarsi alla voce delle Muse.

Ma oggi chi farà risuonare ancora le corde sulla loro cetra ? Ares intanto infuria scatenato.