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giovedì 30 gennaio 2020

e restare in se stesso nulla vuole

Campi dei non beati


fotografia di Ansel Adams


Sazio son io della mia sete d'isole
del morto verde, dei muti greggi;
divenire voglio una riva, un piccolo golfo,
un porto di belle navi.

Da uomini vivi con caldi piedi
percorsa vuol sentirsi la mia spiaggia;
in bramosia d'offerta la sorgente
mormora e a gole vuol dar refrigerio

E tutto in sangue estraneo vuol levarsi
e in un diverso fiammeggiar di vita
annegare il suo anelito
e restare in se stesso nulla vuole.


di Gottfried Benn, da "Morgue" (Einaudi, traduzione di Ferruccio Masini)


Quando nel 1912 Gottfried Benn pubblica la raccolta "Morgue" ha ventisei anni, è un medico militare che esercita la sua professione a Prenzlau e a Berlino. Ferruccio Masini ha descritto l'atmosfera di quegli anni come un "periodo segnato dal sovvertimento dei vecchi schemi umanistico- liberali ad opera di una informe tempesta d'energie - l'espressione è di Musil. 

La Morgue, il tavolo operatorio, i corpi dissezionati,  le vite che questi resti impalliditi raccontano, sono lo strumento di una esigenza di svelamento della realtà che non procede solo nel segno della demolizione del linguaggio lirico e dei suoi clichés, dei valori del passato e delle sue liturgie. Tali immagini in Benn diventano, secondo Masini "i geroglifici di una negazione per la quale non occorre il grido, ma basta il gesto, e che non cerca figura né anima. "

“Imperdonabile Benn, - scrive Cristina Campo - e non certo nel suo sacco cinerognolo di peccatore politico [… ], bensì nella sua stola purpurea di confessore della forma: l’autore di alcune poesie solo possibili al magistero del più alto maestro in molti anni di lingua tedesca, poiché di questo si tratta, alla fine. Imperdonabile Benn, che afferma non dover essere il poeta lo storico del proprio tempo, anzi il precursore al punto da ritrovarsi di millenni alle spalle di quel tempo, l’antecessore al punto da poter profetare dei più lontani cicli avvenire. Testimone soltanto di ciò che immobilmente perdura: un guerriero, una stella, una morte, un cespuglio di sorbo".

La poesia Campi dei non beati è posta ad apertura dell'edizione Einaudi di Morgue, che raccoglie - ad opera del grande germanista Ferruccio Masini - i componimenti più significativi del periodo 'espressionistico' di Gottfried Benn, periodo al quale appartengono le cinque poesie che precisamente costituiscono il ciclo di Morgue. In questa poesia già dal titolo possiamo cogliere all'opera lo scrupoloso rovesciamento della prospettiva avviato dal poeta tedesco: non le "isole dei beati" dei poeti classici, non i campi Elisi di Virgilio sono qui la fonte d'ispirazione e l'oggetto del desiderio: Sazio son io della mia sete d'isole dice piuttosto il poeta. I luoghi verdeggianti e la mitezza delle greggi appaiono come un colore di morte e assenza di voce.

divenire voglio una riva, un piccolo golfo...un porto di belle navi. A tale immagine si sovrappone quella della spiaggia percorsa da uomini vivi, poi quella  della sorgente desiderosa di offrire refrigerio. 

Non si dovrebbe tuttavia scorgere in questi versi un accenno ad una visione solidaristica della vita o la fiducia in una forza immanente nella natura che inclina ogni aspetto di essa verso il suo scopo. Nel mondo di Benn - come nota il curatore dell'edizione italiana di Morgue - "sembrano salvarsi, sull'esile filo di una pietà non destinata all'uomo, solo le cose umili e dolci", mentre il tutto brama di annegare il suo anelito e non c'è nulla che voglia restare in se stesso. Ciò che è vivo vuole spegnere ogni desiderio di altra vita, se non quella 'assolutamente 'altra' che arde in un diverso fiammeggiar e nessuna cosa che contribuisce a formare tale tutto pare paga della condizione in cui si trova, del destino che gli spetterebbe.






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