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sabato 17 ottobre 2020

così distanti dalle solitudini casuali




Riaffermazione del romantico

La notte non sa nulla dei canti della notte.
È quel che è come io sono quel che sono:
e nel percepire ciò percepisco meglio me stesso

e te. Solo noi due possiamo scambiare
ciascuno con l’altro quel che ciascuno ha da dare.
Solo noi due siamo uno, non tu e la notte,

né la notte e io, ma tu e io, soli,
tanto soli, così profondamente con noi,
così distanti dalle solitudini casuali,

che la notte è solo sfondo ai nostri io,
supremamente fedeli ciascuno al suo diverso io,
nella luce pallida che ciascuno getta sull’altro.


    di Wallace Stevens, traduzione di Massimo Bagicalupo




Wallace Stevens (1879-1955) è da molti considerato il maggiore poeta americano del Novecento; certo non è secondo a nessuno dei massimi coetanei (Eliot, Frost, Pound, Williams), e oggi è il più frequentato e universalmente ammirato, a livello di cultura diffusa come da parte di lettori, studiosi, artisti e poeti; i libri a lui dedicati sono ormai centinaia. Stevens, che nella vita fu dirigente in una importante compagnia di assicurazioni del Connecticut e non visitò mai l'Europa, ha fama di poeta difficile, addirittura impenetrabile, ma i suoi testi hanno la limpidità glaciale di uno specchio in cui i lettori non cessano di trovare immagini e parole per dire la loro condizione (post)moderna. «La poesia» affermò «è una risposta alla necessità quotidiana di afferrare bene il mondo.» Ne esce quasi un manuale di sopravvivenza dove, come nei capolavori della musica e della pittura, la forma sovrana permette al lettore di entrare in un universo più vivido e libero, e così vivere pienamente la propria misteriosa umanità (dal Meridiano Mondadori).

Siamo nel 1936 quando Wallace Stevens  pubblica la raccolta Ideas of Order. Tra i suoi propositi centrale appare quello di ridefinire il romantico come una forza irrinunciabile nella crisi che l'America e l'Europa stavano attraversando alla metà degli anni '30. Sei anni dopo, in una conferenza tenuta mentre gli Stati Uniti stavano entrando in guerra, egli dice: "lo spirito di negazione è stato così attivo, così fiducioso e così intollerante che i luoghi comuni riguardo al romantico ci spingono a chiederci se la nostra salvezza, la nostra via di uscita non sia il romantico." Negli anni successivi alla guerra il poeta americano mostrerà una crescente insoddisfazione per il termine, ma ciò non toglie che è proprio in Ideas of Order che possiamo individuare la prima tappa dello sforzo di fondare un nuovo personale "umanesimo".

In questa poesia emerge uno dei temi centrali di tale sforzo: la suprema natura della poesia si rivela quella di essere ampliamento e arricchimento della realtà, ma essa è allo stesso tempo parte dell'imperfezione del mondo. Nella povertà e nella precarietà della condizione umana, il linguaggio risplende come il nostro tratto più caratteristico e prezioso.

Sono tre i personaggi di Riaffermazione del romantico: la Notte, il poeta e il suo interlocutore. Non è che si deve capire tutto in una poesia, a volte non serve e spesso non si può. Ma qui in questi versi c'è un'affermazione che a me pare straordinaria e struggente. La notte a volte può sembrarci lunghissima, un tempo che non finisce mai. Peggio, può sembrare invincibile, una prigione che non ha uscite, che non lascia scampo, ma la notte non sa nulla dei canti della notte. Vi è un abisso tra lei e il canto del poeta, sono due realtà che non si sfiorano, universi paralleli di dimensioni inavvicinabili, incompatibili.  E l'incredibile avviene. Proprio in ragione di questo fatto, su cui la notte - con la sua brama di negazione del romantico - non ha potere, il poeta può dire al suo interlocutore (mi piace pensare che si rivolga qui alla sua Beatrice)

Solo noi due siamo uno.







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