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giovedì 9 febbraio 2023

Musa diversa

 



Uno dei criteri con cui sono solito distinguere la buona poesia da quella che "non fa per me" l'ho pescato in un piccolo scritto di Rilke, "Lettera ad un giovane poeta" di cui ho già avuto modo di parlare. Si tratta di un mio personale modo di vedere le cose, senza alcuna pretesa di oggettività o di rigore accademico. E' solo che, leggendo le parole  indirizzate da Rilke ad uno scrittore che gli chiedeva consigli e giudizi - siamo nei primi anni del 900 - ho sentito subito una spontanea consonanza; quelle parole mi sono sembrate subito illuminanti, come nessun'altra. Una via precisa indica Rilke a chi gli domandava consigli, una via essenziale: esaminare se la ragione che chiama a scrivere "estenda le sue radici nel più profondo del cuore". E poi aggiunge: "Questo anzitutto: domandatevi nell'ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere?"  Secondo Rilke dunque c'è una poesia che nasce come un impulso che non può essere soffocato, che si manifesta come bisogno, o come destino avrebbero forse detto gli antichi; "un'opera d'arte è buona - ci viene spiegato - s'è nata da necessità. In questa maniera della sua origine risiede il suo giudizio".

Uno dei pregi delle poesie contenute nella raccolta "Di madre nuda" di Simona Mancini mi pare
proprio questo: è un'arte "nata da necessità". E credo anche  che la maniera della sua origine sia del tutto evidente  in alcuni versi-aforismi contenuti nella sezione Imperfezioni, come ad esempio quando scrive:

La poesia è il castigo per chi scampa alla vita

oppure, con una leggera variazione di tono:

Sono poeta per scelta altrui.

La natura "necessitata" della poesia di Simona Mancini è riconoscibile nei versi di un componimento tra i più significativi della raccolta appena pubblicata: Musa diversa


Poesia,
tu mi svegli come un cane di notte:
mi aggiro tra i vicoli sordi,
i balordi assoldati dall'oscurità.

Poesia
che ci fai sul mio pane tostato,
sul coltello affilato?

E non so se spalmarti
o ammazzarci qualcuno
con te: io sono nessuno, o poco di più.

Sei tu nell'armadio?
Nell'acqua corrente che mi spegne
le fiamme da cento e una ruga
che ho qui sulla fronte?
Io sono Caronte che invoca pietà.

Tu m'inganni Musa diversa.
Mi attraversa solo un pensiero
ma è l'ultima sillaba di un verso ipermetro.

Torno indietro e riscrivo il finale.


Colpisce la prima similitudine: i versi accostano la Poesia ad un cane randagio che nel cuore della notte faccia esplodere i suoi latrati, forse un avviso allarmato. Allo stato di apparente quiete del sonno, in cui si trova l'io poetico, fa riscontro l'abbaiare del cane. La Musa non è certo il segno distintivo di un animo speciale, sigillo di un privilegio, magari scomodo, ma pur sempre gratificante. La sua voce non ha il timbro melodioso della lira pizzicata con arte, è piuttosto un grido inquieto, l'urgenza di un sospetto. 

Parleremo di questa e di altre poesie domani sera alla libreria eli di Roma, in viale Somalia 50/a a partire dalle 18.30. Le poesie di Simona Mancini meritano davvero; di colui che le presenterà sapete che troppi danni non dovrebbe farli. Vi aspetto