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lunedì 29 giugno 2020

Dio del tempio in rovina !

foto di John McDermott


Dio del tempio in rovina!
le corde rotte del liuto non vogliono
intonare il tuo inno:
nella sera più non suonano
le campane che annunciano il tuo rito.
Silente e quieta è l'aria intorno a te

Alla tua desolata dimora giunge 
la raminga brezza della primavera:
E reca notizie dei fiori -
i fiori che per il tuo culto
più non sono offerti

Chi da tempo antico ti onora
errabondo si aggira,
mai cessando di struggersi
per una grazia ancora negata.
Al vespro, quando fuochi ed ombre
si confondono con la mestizia della polvere,
stanco ritorna al tempio in rovina
inesausto desiderio nel cuore serbando 

Dio del tempio in rovina, più di un giorno
di festa è giunto per te silenzioso.
Più di una notte è trascorsa
senza la luce di una lampada.

Molte nuove immagini sono scolpite
da maestri di abili arti
e trasportate - quando anche il loro tempo è giunto -
alle acque sacre dell'oblio.

Solo il Dio del tempio in rovina
rimane senza preghiere
in un abbandono che non conosce morte.



di Rabindranath Tagore, la traduzione è mia.

martedì 16 giugno 2020

Il cuore ridondava dei sogni di quel tempo


A UNO CON CUI DISCORREVO DAVANTI AL FUOCO


The arrival of the Tuatha Dé Danann by Jim Fitzpatrick 



Mentre limavo queste incerte magiche rime,
Il cuore ridondava dei sogni di quel tempo
Che, curvi sui carboni languenti,
Discorrevamo di quel popolo fosco che vive nell'anima
Degli uomini ardenti, come negli alberi morti i pipistrelli;
E delle ribelli schiere del crepuscolo
Che sospirano mescolando gioia ed affanno , 
Perché il fiore dei loro sogni non si è mai piegato
Sotto il frutto del bene e del male:
E della fiammeggiante turba schierata a battaglia
Che sale, ala su ala, fiamma su fiamma,
E grida con voce di tempesta il Nome Ineffabile,
E cozzando le lame delle spade compone
Un'estatica armonia, finché irrompe il mattino
E il bianco silenzio tutto sommerge tranne il rombo sonoro
Delle loro lunghe ali e il lampo dei loro candidi piedi.

di William Butler Yeats dalla raccolta The rose (1893)

To some i have talked with by the fire, di cui presento qui una traduzione da me rimaneggiata, non è una delle poesie più note di Yeats, ma è una di quelle che amo rileggere di tanto in tanto.  Vediamo il poeta mentre è intento a comporre le sue rime, ispirate agli antichi miti della sua gente; d'un tratto avverte un sussulto nel cuore, traboccano i sogni di un tempo lontano: un fuoco che languisce nella notte, uomini curvi a parlare delle antiche leggende, dei Fianna e dei Tuatha De danann, déi ed eroi della mitologia celtica, di racconti e saghe ormai quasi dimenticate, ma ancora viventi nell'anima degli uomini dalle forti passioni. 
Vivono ancora quelle storie? Sopravvivono forse, come fanno i pipistrelli nei tronchi degli alberi morti. Curiosa similitudine questa: come i pipistrelli che vivono nascosti di giorno ed escono di notte, leggende e miti non sono fatti per la luce del sole, appartengono all'oscurità. Di giorno anche i protagonisti di quelle antiche gesta, le ribelli schiere che abitano il crepuscolo, se ne stanno in disparte, come i pipistrelli; forse dormono persino a testa in giù, percependo il mondo diurno capovolto e sottosopra. C'è bisogno dell'oscurità perché  la turba schierata a battaglia si erga fiamma su fiamma e gridi con voce di tempesta il Nome Ineffabile. 

In questi versi il poeta irlandese combina insieme visioni della mitologia celtica e riferimenti biblici: il frutto del bene e del male e l'immagine delle schiere angeliche che gridano il Nome Ineffabile, tratta dal libro dell'Apocalisse 19.12. Lo spirito di Yeats è trasportato al cospetto di una lotta decisiva, un combattimento escatologico, dove le schiere angeliche, i suoi antichi, amati eroi combattono insieme finché irrompe il mattino. Poi, di loro rimane solo il rombo sonoro delle ali ed il lampo dei loro candidi piedi.

Può essere, come alcuni critici hanno sostenuto, che in questa possente visione sia adombrata la lotta per l'indipendenza irlandese e che il nome ineffabile sia quello antico che indicava da tempi remoti la verde isola, nome proibito dalle autorità inglesi. Forse anche il clangore delle spade nasce da storie più vicine, preparando quelle future, di nitroglicerina e agguati nella brughiera, di melodie proibite del Sinn Fein pizzicate sull'arpa...

W.B.Yeats ritratto mentre scrive
Tuttavia in questa poesia Yeats sta parlando anche di cosa sia l'arte poetica: limare rime incerte, ma soprattutto ascoltare il proprio cuore che trabocca: la poesia è spalancare la porta dell'anima e far uscire ciò che è custodito al suo interno o ciò che viene a visitarci da chissà dove. Non a caso Yeats, qualche anno più tardi, scriverà che la poesia è essenzialmente "rivelazione di una vita nascosta" e che "la pittura, la poesia e la musica sono il solo mezzo di conversare con l'eternità rimasto all'uomo sulla terra".
E' nei versi 13 e 14 che il legame tra la visione e l'arte poetica mi sembra emerga con più chiarezza: nel cozzare delle spade si va infatti componendo un'estatica armonia: una consonanza di voci, una combinazione di toni, una modulazione di accordi: il compito del poeta. Per il clangore della battaglia e il fragore delle armi infatti gli eroi delle antiche saghe sono usciti nella notte, come ispirati poeti guerrieri.

Non diversamente chi voglia dirsi poeta cerchi il rumore di spade nella notte.

Perché ...

Dove però è il rischio
anche ciò che salva cresce

martedì 9 giugno 2020

i tumuli della memoria




L'acqua, la insegna la sete
La terra, gli oceani trascorsi.
Lo slancio - l'angoscia -
La pace - la raccontano le battaglie -
L'amore, i tumuli della memoria -
Gli uccelli, la neve.

di Emily Dickinson


Conosciamo il mondo intorno a noi dalle tracce imperfette che attraversiamo, da ciò che ci manca. Così il marinaio, dopo aver vegliato al respiro dell'oceano, riconosce il profilo della terra che lo attende. E forse non è nei racconti delle battaglie che il cuore del guerriero si ricorda della pace lasciata chissà dove, tanto tempo prima? Non sfugge a questa legge l'amore: sono i tumuli della memoria ad insegnare cosa esso sia per davvero.

Come le lievi impronte che un uccello disegna sulla neve fresca. 

giovedì 4 giugno 2020

che da lontano il nostro sangue sente

Jorge Luis Borges visto dal grande disegnatore e fumettista Enrique Breccia


ODE COMPOSTA NEL 1960

Il chiaro caso o le segrete leggi
imposte a questo sogno, il mio destino,
vogliono, o necessaria e dolce patria
che non senza vergogna e gloria conti
centocinquanta laboriosi anni,
che io, l'istante, parli con te, il tempo,
e che l'intimo dialogo ricorra,
com'è uso, alle cerimonie e all'ombra
che aman gli dèi e al pudore del verso.

Patria io t'ho sentita nei tramonti
rovinosi delle periferie
e nel fiore del cardo che l'australe
reca all'androne e nel paziente piovere
e nel lento costume delle stelle,
nella mano che accorda una chitarra,
nella gravitazione del tuo piano
che da lontano il nostro sangue sente
come il britanno il mare e nei pietosi
simboli e nei boccali d'un soffitto,
dei gelsomini nell'umile amore,
nell'argento di un quadro e nel soave
contatto con l'acagiù silenzioso,
nei gusti delle carni e della frutta,
nella bandiera quasi azzurra e bianca
d'una caserma, nelle storie stracche 
di coltello e cantone e nelle sere 
uguali che si spengono e ci lasciano
e nel vago ricordo compiaciuto
di cortili con schiavi che portavano
il nome dei padroni e nelle povere
pagine di quei libri per i ciechi
che l'incendio disperse e nel cadere 
delle epiche piogge di settembre
che nessuno dimentica, ma questi
sono appena i tuoi modi e i tuoi simboli.

Tu sei più del tuo lungo territorio
e più dei giorni del tuo lungo tempo,
tu sei più della somma inconcepibile
delle generazioni. Non sappiamo
come sei tu per Dio entro il vivente
seno degli archetipi immortali,
eppure per il tuo volto intravisto
noi viviamo e moriamo e aneliamo,
oh indivisa e misteriosa patria.

di Jorge Luis Borges, da L'artefice


Jorge Luis Borges prova nella poesia "Ode composta nel 1960" ad esprimere dove ha trovato la sua patria, l'Argentina: nei tramonti rovinosi delle periferie, nella mano che accorda una chitarra, nella vasta pianura che "il nostro sangue sente di lontano" e  nella bandiera scolorita di una caserma e nelle canzoni di coltello che i gauchos si raccontano sotto le stelle...


Se Borges ha amato in modo appassionato la sua terra, ci ha insegnato ad amare anche ogni uomo che si prenda cura dell'orizzonte e del paesaggio che ha ricevuto in dono: quel tramonto, quel cortile, quella rupe e l'albero vicino a lei, il fiume ed il suo rumore ed  i loro nomi.

lunedì 1 giugno 2020

Quale canto s'è levato stanotte

Bandiera italiana su monte Santo, agosto 1917
LA NOTTE BELLA

Devetachi il 24 agosto 1916

Quale canto s'è levato stanotte
che intesse
di cristallina eco del cuore
le stelle

Quale festa sorgiva
di cuore a nozze

Sono stato
uno stagno di buio

Ora mordo
come un bambino la mammella
lo spazio

Ora sono ubriaco
d'universo

di Giuseppe Ungaretti - L’allegria


Giuseppe Ungaretti moriva nella notte tra il 1° e il 2 giugno 1970; con lui scompariva non solo una delle voci più importanti della nostra letteratura di sempre, ma anche un uomo nella cui opera si rivelava  in modo straordinariamente vivo e lucido il nesso inscindibile tra una fiducia assoluta nell’arte poetica e una totale adesione alla realtà.