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domenica 10 luglio 2022

non è abbastanza moderno il suono che fa il vento

 


Margherite


Avanti di' quel che pensi. Il giardino

non è il mondo vero. le macchine

sono il mondo vero. Di' francamente ciò che ogni sciocco

potrebbe leggerti in faccia: è logico

evitarci, opporsi 

alla nostalgia. Non è

abbastanza moderno, il suono che fa il vento

agitando un campo di margherite: la mente

non può brillare seguendolo. E la mente 

vuole brillare, scopertamente, come

brillano le macchine e non 

crescere in profondità, come, per esempio, radici. E' commovente,

lo stesso, vederti avvicinare

cautamente il bordo dei prati di primo mattino, 

quando certo nessuno potrebbe

osservarti. Più stai ferma al limite, 

più sembri nervosa. Nessuno vuol sentire

impressioni del mondo naturale: sarai

derisa di nuovo; ti prenderanno in giro.

Quanto a ciò che stai davvero

ascoltando stamattina: pensaci due volte

prima di riferire cosa fu detto in questo campo

e da chi.


di Louise Gluck, L'iris selvatico, Il Saggiatore 2020 traduzione di Massimo Bagicalupo


Ed ecco la versione originale:


Daisies


Go ahead: say what you're thinking. The garden

is not the real world. Machines

are the real world. Say frankly what any fool

could read in your face: it makes sense

to avoid us, to resist

nostalgia. It is

not modern enough, the sound the wind makes

stirring a meadow of daisies: the mind

cannot shine following it. And the mind

wants to shine, plainly, as

machines shine, and not

grow deep, as for example, roots. It is very touching,

all the same, to see you cautiously

approaching the meadow's border in early morning,

when no one could possibly

be watching you. The longer you stand at the edge,

the more nervous you seem. No one wants to hear

impressions of the natural world: you will be

laughed at again; scorn will be piled on you.

As for what you're actually

hearing this morning: think twice

before you tell anyone what was said in this field

and by whom.


Nelle poesie può accadere di tutto, questo è il bello. Può accadere anche che i fiori dei campi o dei giardini del Vermont (e lì che vive la poetessa e che sono ambientate le poesie della raccolta L'iris selvatico) prendano la parola o almeno ci provino. I fiori vedono le nostre case, le nostre esistenze: soprattutto come ingarbugliamo le vite degli altri o come mandiamo in rovina le nostre. Insomma pur dalla loro prospettiva, dal basso, o forse proprio per quello, per la loro santa e preziosa vicinanza alla terra, vedono molto di quello che gli uomini non riescono a vedere, afferrano ciò che ci sfugge, prendono infine la parola. Come in questa poesia di oggi, Margherite.

E' mattina presto, l'ora in cui sono in pochi ad avviarsi al lavoro, prima che si accompagnino i figli a scuola, ma pur sempre un tempo in cui si va di fretta; per alcuni addirittura a quell'ora si torna a casa, magari dopo un turno di notte. Non proprio l'ora adatta a fermarsi accanto ad un campo di margherite. Eppure eccola lì, una donna, che cautamente si avvicina al bordo di un campo di fiori. Non sappiamo nulla di lei, potrebbe essere la poetessa stessa, ma è solo una supposizione.

All' inizio la voce delle margherite sembra prendere un tono provocatorio: go ahead, avanti !! di' quel che pensi. La donna probabilmente non sa quale impulso l'ha spinta stamattina su quel vero e proprio confine tra mondi incomunicabili. Da una parte il mondo vero, quello delle macchine, dall'altra quello invece da evitare, il mondo della nostalgia, il mondo del passato in cui era bello seguire il suono che fa il vento agitando il campo di margherite. Eppure lei è lì stamattina, cauta, circospetta, all'apparenza nervosa. La voce dei fiori assume un tono diverso, quando dice che trovano commovente vederla lì.  Perché? ci chiediamo subito sorpresi. Qui tocchiamo a mio avviso il segreto del riuscito sortilegio della poesia: intravediamo solo una parte della storia, qualcosa si nasconde dietro la donna senza nome, ferma di mattino presto, quando certo nessuno potrebbe osservarti dicono le Margherite, sul confine tra il suo mondo abituale, quello delle macchine e l'altro mondo, quello del vento che agita i fiori e dei fiori che parlano all'uomo.  

Come spesso accade è nel non detto che si rivela a noi ciò che è decisivo; nelle lacune del logos si aprono immensi gli spazi dell'immaginazione: sarai derisa di nuovo; ti prenderanno in giro -  mettono in guardia le gentili margherite. Di nuovo: una locuzione avverbiale insegna il grammatico, otto battute computa il programma di scrittura, due parole... Eppure la storia della donna ferma di primo mattino sul confine di un campo di fiori è tutta in questa manciata di lettere. La poesia non ci racconta nulla di cosa è successo, nulla delle odiose derisioni degli sciocchi e dei logici, nulla del momento in cui il tendere l'orecchio al suono che fa il vento si è trasformato nel cauto, nervoso indugio di questo primo mattino e nulla del cuore che si volge alle macchine che brillano piuttosto a ciò che cresce nelle profondità della terra.

L'ultimo ammonimento delle margherite, gentile e minaccioso al tempo stesso, è contenuto in versi di studiatissima fattura: l'avverbio davvero ci induce a pensare che qualcosa di indicibile è stato svelato, qualcosa che non coincide con il semplice dettato della parola, del logos appunto, ma attinge alle sorgenti della fiaba, della profezia o della preghiera. Quanto vorremmo poter carpire un po' di quell'inesauribile segreto consegnato come il più prezioso dei tesori e destinato a rimanere come privilegio e fardello di un animo che ha non ha smesso di ascoltare.


Louise Gluck in una foto giovanile
Questa è la seconda poesia tratta da L'iris selvatico di Louise Gluck su cui ci fermiamo nella nostra errabonda navigazione verso una stella tenue. In merito ai versi di tale raccolta, che valsero alla Gluck il premio Pulitzer, vorrei mettere in evidenza che nell'invenzione di dare la parola ai fiori non c'è alcunché  di dolciastro  - lo nota giustamente Massimo Bagicalupo nella sua postfazione - né di consolatorio, poiché tali fiori sentono con chiarezza che il loro ciclo vitale è breve, che il loro destino è trapassare velocemente. Ed è su questa consapevolezza, amara e leggera al tempo stesso,  che la poesia di Louise Gluck riesce a far vibrare le note di una melodia originale, convincente, di profonda intensità espressiva.
 
Se la poesia  Margherite vi ha incuriosito qui trovate il link al mio primo post dedicato alla poetessa americana:
 https://versounastellatenue.blogspot.com/search/label/Louise%20Gluck .













1 commento:

  1. Grazie Vittorio per questa poesia, mi ha fatto pensare…l’ho interpretata così in questo momento, secondo il mio sentire. Ho percepito i versi come il rimprovero della natura all’uomo che ha dimenticato la propria appartenenza alla terra , il proprio essere parte della natura, trascinato via dal mondo delle “macchine”; c’è sofferenza e senso di ineluttabilità. Un tema molto attuale. Grazie

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