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martedì 30 gennaio 2024

Così sono uscito nella notte

 


Buonanotte qui dentro


Ora la notte incombe sui prati,

ogni cosa muore nell'oscurità.

Ascolto alla finestra, il silenzio vuoto di fuori,

come quando l'orologio si ferma.


Allora sento delle voci chiamare,

come da un villaggio delle fate.

So che cercano me.

Buonanotte allora, a voi due, qui dentro,

ritornerò all'alba.


Così sono uscito nella notte, 

trascinato via misteriosamente -

che Dio abbia pietà di ogni padre e di ogni sposa

che hanno trovato la via del ritorno,

ma non sono mai tornati del tutto!


Knut Hamsun, Il coro selvaggio, traduzione di Luca Taglianetti


Knut Hamsun ha scritto alcuni dei libri che più ho amato nella mia giovinezza; è anche leggendo romanzi come Pan, Misteri o Fame che ho cominciato a sentire il contatto con la natura, con i boschi, con le montagne come una necessità vitale. Hamsun ha vinto il premio Nobel nel 1920 ed è considerato, dopo Ibsen, il più grande scrittore norvegese di tutti i tempi. Walter Benjamin in un suo saggio del 1929 lo considerava un maestro nell'arte di creare il personaggio dell' eroe sventurato, fuggitivo e vagabondo che si sottrae all'oppressiva disumanizzazione sociale per recuperare la freschezza di una natura non ancora  "fossilizzata dalla storia". Anche Thomas Mann lo stimava moltissimo per la sua capacità di essere, per così dire, l'incarnazione di quella ribellione vitale alla pianificazione borghese del mondo.  

Con grande curiosità mi sono avvicinato alla traduzione in Italiano delle sue liriche, pubblicate da Lindau con il titolo Il coro selvaggio. Luca Taglianetti, ha curato l'introduzione e la traduzione delle poesie, scegliendo di proporre quelle contenute nell'edizione del 1934, l'ultima a cui mise mano Hamsun. 

La poesia che leggete qui sopra contiene molti dei temi cari allo scrittore norvegese: su tutti il richiamo della natura selvaggia, una natura vivificata da un mistero inconoscibile e ineffabile, dotata di una sua propria volontà fascinatoria e pericolosa.

Nella prima strofa contempliamo la notte che incombe sui prati, tutto sembra morire nell'oscurità che avvolge ogni cosa. ovunque è silenzio. Ma delle voci - ci rivela l'io poetico - si odono, un lieve sussurro di fate. E' il mondo segreto e denso di magia di una natura misteriosa che qui si manifesta: esso affonda le sue radici nei gesti antichi del pastore o del contadino davanti ad una fonte, o nello sguardo del viandante che si posa sulla rugiada del mattino. Tutto è pieno di dèi dicevano del resto i sapienti prima di Socrate.  

Voci che giungono, come da un villaggio di fate. Non le comprende del tutto l'uomo, al riparo nella sua casa, ma sa che chiamano proprio lui. E il richiamo è tale che non può resistergli; alla logica delle parole forse si può fuggire, ma non al destino. Esce, allora, nella notte. Ma prima si volge ai suoi affetti per un augurio e una promessa: ritornerò all'alba. Quello che poi succede il poeta non lo dice, lo affida piuttosto ad una preghiera che invoca la pietas divina per coloro 

che hanno trovato la via del ritorno,

ma non sono mai tornati del tutto!

Sono tornati, certo. Ma qualcosa di loro è rimasto per sempre in quell'altrove che dimora là, poco più oltre gli alberi più fitti, perfetto, arcano, immemore.


2 commenti:

  1. Davvero è una poesia molto suggestiva, il richiamo delle voci da un villaggio di fate non è per tutti, ma forse solo per quelle persone che non riescono a dormire del tutto, qualcosa li tiene svegli, un tormento o un desiderio…un destino
    Grazie
    Francesca

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    1. Francesca, hai ragione: dormire può a volte significare chiudere la propria anima, limitare lo sguardo ad una percezione del tutto materiale, accomodarsi in ciò che ci rassicura. Tendiamo l'orecchio invece... è teniamo pronti gli scarponi

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