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sabato 30 marzo 2024

Quelli che credi di sopraffare

 

Icona bizantina della discesa agli inferi

Non andar fiera morte, se anche c'è

chi ti ha detto terribile e potente - tu non lo sei.

Quelli che credi di sopraffare non periscono,

povera morte, né tu  mi puoi uccidere.

Da riposo e sonno, tue immagini mere

grande piacere ne fluisce. E quanto più

ne verrà da te.

Primi i migliori tra noi vengono con te,

riposo per le ossa, per l'anima liberazione.

E tu schiava del Fato, del Caso

di Re e di uomini alla disperazione,

tu che dimori  con veleni, guerre e malattie -

oppio e incantesimi ci sanno egualmente

addormentare e più felicemente

di ogni tuo fendente - perché ti insuperbisci?

Dopo breve sonno all'eternità ci desteremo, 

senza più morte, Morte morrai.

       

                                 Jhon Donne, Sonetti sacri. traduzione di Rosa Tavelli 


la versione originale:

Death be not proud, though some have called thee

Mighty and dreadful, for, thou art not so,

For, those, whom thou think’st, thou dost overthrow,

Die not, poore death, nor yet canst thou kill me.

From rest and sleepe, which but thy pictures bee,

Much pleasure, then from thee, much more must flow,

And soonest our best men with thee doe goe,

Rest of their bones, and souls deliverie.

Thou art slave to Fate, Chance, kings, and desperate men,

And dost with poyson, warre, and sicknesse dwell,

And poppie, or charmes can make us sleepe as well,

And better than thy stroake; why swell’st thou then;

One short sleepe past, wee wake eternally,

And death shall be no more; Death, thou shalt die.


In un saggio dedicato alla poesia di John Donne (Donne After Three Centuries, London 1932), Virginia Woolf, si chiedeva quale fosse la qualità delle parole del poeta elisabettiano che le rendevano così nitidamente udibili nei suoi anni, per quale strano segreto i versi di un poeta così lontano nel tempo fossero ancora  capaci di colpire il lettore contemporaneo. A questo interrogativo la Woolf rispondeva sottolineando il fatto che  - ancora prima del suo significato - la poesia di Donne è dotata di una caratteristica straordinaria, quella di eludere ogni prefazione, di consumare ogni preludio per irrompere nella nostra attenzione: una scossa ci percorre e le percezioni intorpidite e informi si ordinano secondo una visione precisa e sorprendente.  Tale qualità mi sembra evidente anche nella poesia Death be not proud  su cui oggi, Sabato Santo del 2024, possiamo soffermarci.

Il poeta si rivolge alla Morte  con piglio deciso, quasi sfrontato: non andar fiera, non ti insuperbire anche se in molti ti dicono potente e terribile e a queste definizioni chinano la testa. Vengono in mente inevitabilmente quelle potenti raffigurazioni della morte che a passo di danza conduce tutti, principi e mendicanti, papi e contadini, guerrieri e giovani ragazze verso il suo regno. Si tratta di quel motivo iconografico della Totentanz o della Danza macabra che adorna non pochi edifici di culto europei, come l'affresco della chiesa di San Vigilio, presso Pinzolo, opera del pittore cinquecentesco Simone Baschenis de Averara. L'idea alla base di queste rappresentazioni è chiara: siccome la morte tiene in suo potere ogni realtà terrena e su tutti essa esercita il suo invincibile potere, è necessario guardare alle cose del cielo e cambiare vita orientando le proprie scelte in direzione di ciò che la ruggine non divora e il tempo non consuma. Agisce in questa forma della rappresentazione della morte soprattutto il carattere della sua ineluttabilità, ma allo stesso tempo ne esce sottolineata la potenza, il suo essere  - apparentemente  - invincibile. L'effetto anagogico qui ricercato rischia di essere soverchiato da un senso di desolazione e smarrimento, dove anche la speranza viene meno. 

Diversa appare la scelta del poeta inglese: inutile che tu vada vantandoti del  tuo essere potente, thou art not so. Non lo sei, povera Morte. Ciò che tu offri a noi  - riposo e sonno - sono un piacere che già conosciamo e che ancora di più gusteremo grazie a te, giacché un breve sonno (short sleepe) è la tua essenza.  Quell'immagine maestosa e terribile di potenza sovrana viene poi ribaltata, nella sezione a mio avviso più riuscita del sonetto, in quella della schiavitù: 

E tu schiava del Fato, del Caso

di Re e di uomini alla disperazione,

tu che dimori  con veleni, guerre e malattie...

Viviamo un tempo spietato, un tempo in cui "portiamo la verità tra le labbra serrate" come recita un bel verso di Zbigniev Herbert ed anche nei giorni in cui siamo chiamati a vivere può subentrare lo stesso senso di annichilimento che la visione della Danza Macabra poteva indurre negli uomini di quell'epoca, spogliato però di ogni speranza di salvezza. Così, di fronte alla sofferenza di tanti innocenti, per nulla diversa da quella patita sulle croci del Calvario, la tentazione di credere nell'invincibilità della morte rischia, ancora una volta, di farsi  esperienza comune, contagiando i cuori con l'amaro sapore della necessità, che non conosce redenzione. 

Nella liturgia cattolica del triduo pasquale il Sabato Santo è il momento del silenzio, vero sottofondo del mistero che si celebrerà nella notte. Le parole di un’antica omelia, ripetuta ogni anno nella celebrazione delle Lodi ci introduce con grande intensità nella tacita attesa del Sabato Santo: «Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi». Come si vede anche in una venerata icona bizantina, Cristo scende a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte, va a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva  e tutti coloro che si trovano lì prigionieri. le catene della morte sono infrante.

La poesia di Jhon Donne ci ricorda la stessa cosa nel suo ultimo incandescente verso:

And death shall be no more; Death, thou shalt die.


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