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mercoledì 29 aprile 2020
Io crebbi in un silenzio arabescato
IL SALICE
Io crebbi in un silenzio arabescato,
in un'ariosa stanza del nuovo secolo.
Non mi era cara la voce dell'uomo,
ma comprendevo quella del vento.
Amavo la lappola e l'ortica,
e più di ogni altro un salice d'argento.
Riconoscente, lui visse con me
la vita intera, alitando di sogni
con i rami piangenti la mia insonnia.
Strana cosa, ora gli sopravvivo.
Lì sporge il ceppo, e con voci estranee
parlano di qualcosa gli altri salici
sotto quel cielo, sotto il nostro cielo.
Io taccio... come se fosse morto un fratello.
Anna Achmatova
domenica 26 aprile 2020
sulle tenui frontiere che scorgi a malapena
![]() |
Lobster girl, di Bob Bartlett, 2004 |
PER LEI
Potrebbe essere ovunque
una notte qualsiasi a tua scelta,
nella tua camera vuota e buia
o per strada
o sulle tenui frontiere
che scorgi a malapena, a malapena sogni.
Non proverai alcun desiderio,
niente ti metterà in guardia,
non un vento improvviso, non l'immobilità dell'aria.
Lei apparirà,
l'aspetto di una donna che conoscevi:
l'amica che ha buttato via la vita,
la ragazza seduta all'ombra della palma.
I bracciali le brilleranno,
diverranno le luci
di un paese cui volgesti le spalle anni fa.
da "L'ora tarda" di Mark Strand, traduzione di Damiano Abeni
domenica 19 aprile 2020
un angolo del mondo dove potresti aspettarmi.
![]() |
"Tavola calda" di Edward Hopper, 1927 |
Cominciano ad accendersi
le domande alla notte.
Ve ne sono distanti, quiete,
immense, come astri:
chiedono da lassù
sempre
la stessa cosa: come sei.
Altre, fugaci e minute,
vorrebbero sapere cose
lievi di te e precise:
misura
delle tue scarpe, nome
dell’angolo del mondo
dove potresti aspettarmi.
Tu non le puoi vedere,
ma il tuo sonno
è circondato tutto
dalle mie domande.
E forse qualche volta
tu, sognando, dirai
di si, di no, risposte
miracolose e casuali
a domande che ignori,
che non vedi, che non sai.
Perché tu non sai nulla;
e al tuo risveglio,
loro si nascondono,
invisibili ormai, si spengono.
E tu continuerai a vivere
allegra, senza mai sapere
che per metà della tua vita
sei sempre circondata
da ansie, tormenti, ardori,
che incessanti ti chiedono
quello che tu non vedi
e a cui non puoi rispondere.
da "La voce a te dovuta", XLIII di Pedro Salinas
Prendono vita nella notte le domande del poeta, si accendono - distanti - da lassù, chiedono sempre la stessa cosa ... Che altro c'è del resto che sia più importante sapere: come sei. Straordinaria intuizione questa, non come stai o cosa pensi, ma appunto come sei? Ci sono altre domande poi, fugaci e minute, sono lievi le cose che vogliono sapere di lei, anche se una sembra decisamente importante, una di quelle cose che, a saperle, cambia la vita:
... nome
dell'angolo del mondo
dove potresti aspettarmi.
Qui, quando per la prima volta ho letto questi versi, mi sono fermato a lungo. Non mi riusciva di andare avanti: un angolo del mondo ... dove potresti aspettarmi. Già, perché le persone che amiamo possono essere distanti, come sono distanti il poeta e la sua amata nella poesia. Magari sono dall'altra parte della città o solo poche scale più a destra, ma certo, anche nella stanza accanto. E' possibile che abbiamo dimenticato di chiedere come sei e trascurato di interessarci alle cose fugaci e minute, smesso di accogliere il miracolo di certe casuali risposte. Ma ... c'è un posto, un angolo del mondo, che è per noi, da sempre nostro.
Ecco, forse lì, potresti aspettarmi.
mercoledì 15 aprile 2020
IL SIGNOR COGITO MEDITA SULLA SOFFERENZA
Tutti i tentativi di allontanare
il cosiddetto calice amaro —
con la riflessione
l’impegno frenetico a favore dei gatti randagi
gli esercizi di respirazione
la religione —
sono falliti
bisogna accettare
chinare mitemente il capo
non torcersi le mani
ricorrere alla sofferenza con misura e dolcezza
come a una protesi
senza falso pudore
ma anche senza inutile orgoglio
non sventolare il moncherino
sulle teste degli altri
non picchiare col bastone bianco
alle finestre dei sazi
bere l’estratto d’erbe amare
ma non fino in fondo
lasciarne avvedutamente
qualche sorso per l’avvenire
accettare
ma al tempo stesso
distinguere dentro di sé
e possibilmente
trasformare la materia della sofferenza
in qualcosa o qualcuno
giocare
con essa
ovviamente
giocarci
scherzare con essa
con grande cautela
come con un bambino malato
per strappare alla fine
con sciocchi giochetti
un esile
sorriso
da "Rapporto dalla città assediata e altri versi", di Zbigniew Herbert

giovedì 9 aprile 2020
portami il girasole impazzito di luce
![]() |
Vincent Van Gogh, Sunflowers, National Gallery, London |
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
da OSSI DI SEPPIA, di Eugenio Montale.
E' questo il centesimo post da quando il viaggio "verso una stella tenue" è cominciato, mesi fa. E credo che questa poesia di Eugenio Montale sia adatta ad esprimere ciò che per me è il senso profondo della rotta che tento di seguire ...
"Tutta la legge della esistenza umana consiste solo in ciò: che l’uomo possa sempre inchinarsi dinanzi all’infinitamente grande.
Se gli uomini venissero privati dell’infinitamente grande, essi non potrebbero più vivere e morrebbero in preda alla disperanza".
F. Dostoevskij, Fratelli Karamàzov
domenica 5 aprile 2020
A che punto è la notte?
![]() |
Gustav Dorè, Apparizione dello spettro di Banquo |
La luce s'oscura, e il corvo
dirige il volo verso il bosco delle cornacchie;
le buone creature del giorno cominciano a vacillare e ad assopirsi
mentre i neri agenti della notte si destano per predare.
Tu ti stupisci alle mie parole: ma sta tranquilla:
le cose cominciate nel male traggono forza dal male.
Quando rivolge queste parole a sua moglie, Macbeth ha già preso la risoluzione di far uccidere il suo fidato compagno, il generale Banquo. Non è bastato uccidere a tradimento il sovrano legittimo, Duncan, suo cugino, un uomo onesto e generoso; viene quindi il turno dei testimoni del delitto e di coloro che lo sospettano. Poi i figli e gli amici, in una spirale di sangue che non si arresta di fronte a nulla, finché da ultimo non viene ucciso lui stesso.

La notte avvolge tutto: la notte che sta arrivando, come nei versi citati sopra, nei quali essa è oscuramento della luce; nel declinare del sole vacillano le buone creature, mentre si destano i neri agenti della notte per inseguire e predare. Lo abbiamo visto: gli uomini si distinguono in quelli che sanno uccidere e quelli che esitano e vengono uccisi. Qui la notte è desiderata, se non invocata per occultare gli assassini che già escono per dare la caccia a Banquo e a suo figlio.
La notte che soffoca la luce del giorno. Anche quando il sole si muove nel cielo, tuttavia, è la notte a regnare. Proprio questo viene notato, dopo l'assassinio del re (siamo nell'atto II), da uno dei nobili di Scozia, Ross:
La notte che soffoca la luce del giorno. Anche quando il sole si muove nel cielo, tuttavia, è la notte a regnare. Proprio questo viene notato, dopo l'assassinio del re (siamo nell'atto II), da uno dei nobili di Scozia, Ross:
... per l'orologio è giorno,
e tuttavia l'oscura notte soffoca la mobile lampada.
E' per il predominio della notte, o per la vergogna del giorno
che l'oscurità seppellisce il viso della terra,
quando dovrebbe baciarla la luce viva?
Più volte, inoltre, i personaggi si domandano: a che punto è la notte? La prima volta è Banquo a chiederlo a suo figlio Fleance, quando il buon Duncan non è ancora caduto per mano di Macbeth. La luna è già tramontata e Banquo guardando il cielo soggiunge:
... In cielo fanno economia,
hanno spento tutte le candele.
Persino le stelle appaiono oscurate da questa notte che nessuno capisce quanto durerà...
La stessa domanda che Banquo fa a suo figlio la pone nel III atto Macbeth a sua moglie alla fine di una giornata di sangue. Il nuovo re, infatti, ha invitato i nobili di Scozia a festeggiare, con lui, ma l'atmosfera allegra del banchetto è subito spezzata: lo spettro di Banquo silenzioso compare davanti al re, si siede al suo posto, nessun altro pare vederlo. Macbeth è smarrito, pronuncia frasi senza senso, appare turbato, incapace di controllarsi. I nobili vengono invitati a congedarsi e sulla scena rimangono soli: Lady Macbeth e suo marito. E' allora che la domanda risuona di nuovo nella bocca del nuovo re:
... a che punto è la notte?
Il senso di questa domanda, tuttavia, appare diverso dai precedenti. Vorrebbe Macbeth che l'alba non sorgesse mai e che la notte per davvero - non solo per via di metafora come nelle parole di Ross - estendesse il suo dominio a seppellire per sempre il viso della terra. La notte in cui sprofonda è sempre più fitta.
Macbeth non è solo una tragedia che disvela la forza distruttrice dell'ambizione e della brama di potere. Se fosse solo questo, molti - sentendosi al riparo da tali suggestioni - finirebbero per misurare con una certa serenità la propria distanza dalle passioni funeste del re assassino e della sua Lady. La vicenda di Macbeth ci riguarda molto più da vicino. Siamo noi Macbeth.
Secondo l'interpretazione di Jan Kott, Macbeth "si definisce per negazione": per se stesso egli è quello che non è, non è il re e non è e non sarà padre di una discendenza - ha avuto un figlio ma è morto. Né può aspettarsi che sua moglie ne generi degli altri, giacché questa, evocando gli Spiriti che presiedono a pensieri di morte, a loro domanda: toglietemi il sesso, rendete denso il mio sangue (alludendo qui all'interruzione del ciclo mestruale) e ancora, mutate il mio latte in fiele. Anche Lady, in un processo quasi simbiotico, desidera essere qualcos'altro: non vuole essere donna, o almeno non vuole quelle debolezze dentro di lei che ritiene incompatibili con il compito che si è data.
Macbeth non desidera le cose di Duncan, il suo castello, le sue terre, le sue qualità; anche lui, come sua moglie, desidera essere un altro, ciò che non può essere, dato che non può esservi un re senza discendenza. Ancor peggio - ed è la sua Lady a gettargli in faccia il rimprovero - non può illudersi di diventare re senza macchiarsi le mani di sangue innocente:
... non sei
privo di ambizione, ma non vuoi
che il male la accompagni. Ciò che desideri
ardentemente, lo vorresti santamente.
Ciò che accende i desideri di Macbeth è in verità non essere più Macbeth. Sceglie così di vivere i desideri di un Altro (soprattutto quelli della moglie) ma dopo ogni scelta si ritrova sempre più estraneo a se stesso e sempre più spaventoso.
Carl Gustav Jung a proposito di questo aspetto del desiderare ha scritto. "Troppi non vogliono sapere a che cosa anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te. Così non vivi la tua vita, ma una vita estranea. Ma chi altri deve vivere la tua vita, se non tu stesso? "
La stessa domanda che Banquo fa a suo figlio la pone nel III atto Macbeth a sua moglie alla fine di una giornata di sangue. Il nuovo re, infatti, ha invitato i nobili di Scozia a festeggiare, con lui, ma l'atmosfera allegra del banchetto è subito spezzata: lo spettro di Banquo silenzioso compare davanti al re, si siede al suo posto, nessun altro pare vederlo. Macbeth è smarrito, pronuncia frasi senza senso, appare turbato, incapace di controllarsi. I nobili vengono invitati a congedarsi e sulla scena rimangono soli: Lady Macbeth e suo marito. E' allora che la domanda risuona di nuovo nella bocca del nuovo re:
... a che punto è la notte?
Il senso di questa domanda, tuttavia, appare diverso dai precedenti. Vorrebbe Macbeth che l'alba non sorgesse mai e che la notte per davvero - non solo per via di metafora come nelle parole di Ross - estendesse il suo dominio a seppellire per sempre il viso della terra. La notte in cui sprofonda è sempre più fitta.
Macbeth non è solo una tragedia che disvela la forza distruttrice dell'ambizione e della brama di potere. Se fosse solo questo, molti - sentendosi al riparo da tali suggestioni - finirebbero per misurare con una certa serenità la propria distanza dalle passioni funeste del re assassino e della sua Lady. La vicenda di Macbeth ci riguarda molto più da vicino. Siamo noi Macbeth.
Secondo l'interpretazione di Jan Kott, Macbeth "si definisce per negazione": per se stesso egli è quello che non è, non è il re e non è e non sarà padre di una discendenza - ha avuto un figlio ma è morto. Né può aspettarsi che sua moglie ne generi degli altri, giacché questa, evocando gli Spiriti che presiedono a pensieri di morte, a loro domanda: toglietemi il sesso, rendete denso il mio sangue (alludendo qui all'interruzione del ciclo mestruale) e ancora, mutate il mio latte in fiele. Anche Lady, in un processo quasi simbiotico, desidera essere qualcos'altro: non vuole essere donna, o almeno non vuole quelle debolezze dentro di lei che ritiene incompatibili con il compito che si è data.
Macbeth non desidera le cose di Duncan, il suo castello, le sue terre, le sue qualità; anche lui, come sua moglie, desidera essere un altro, ciò che non può essere, dato che non può esservi un re senza discendenza. Ancor peggio - ed è la sua Lady a gettargli in faccia il rimprovero - non può illudersi di diventare re senza macchiarsi le mani di sangue innocente:
... non sei
privo di ambizione, ma non vuoi
che il male la accompagni. Ciò che desideri
ardentemente, lo vorresti santamente.
Ciò che accende i desideri di Macbeth è in verità non essere più Macbeth. Sceglie così di vivere i desideri di un Altro (soprattutto quelli della moglie) ma dopo ogni scelta si ritrova sempre più estraneo a se stesso e sempre più spaventoso.
Carl Gustav Jung a proposito di questo aspetto del desiderare ha scritto. "Troppi non vogliono sapere a che cosa anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te. Così non vivi la tua vita, ma una vita estranea. Ma chi altri deve vivere la tua vita, se non tu stesso? "

Recalcati passa in rassegna il racconto dei Vangeli con la opportuna cautela di chi si accosti ad un testo da non specialista, non rinunciando al tempo stesso alla sua prospettiva di ricerca: è infatti uno psicanalista e non un biblista. Nella sua lettura del racconto del Getsemani si sofferma soprattutto su un punto che a noi sembra importante sottolineare: nelle ore buie di questa notte, nell'esperienza dell'abbandono assoluto che Cristo sperimenta, "non incontriamo solo il nostro dolore di uomini". Secondo Recalcati infatti, nella prostrazione di fronte al silenzio di Dio e al tradimento degli amici, Gesù - grazie alla preghiera dialogo con il Padre - può trovare "un varco che gli consente di attraversare questa notte tremenda. Qui la lezione ultima del Getsemani incontra quella della psicoanalisi; "nelle parole con cui Gesù accetta che si compia la volontà del padre si realizza "la libera scelta di aderire al proprio destino, di scegliere [...] l'eredità che il Padre gli ha consegnato". A questo riguardo, nota ancora Recalcati, l'obbedienza di Gesù alla Legge (il progetto di salvezza del Padre per l'umanità) "coincide con l'obbedienza al proprio desiderio"; è grazie a questa svolta inaudita che Cristo può raggiungere una nuova versione della Legge (non più quella del sacrificio) ma "quella del dono di sé, dell'assumere la Legge del proprio desiderio".
Nelle notti interminabili di Dunsinane Macbeth ha cercato il nascondimento dei propri delitti, compiuti in nome di un desiderio che non è il suo, in quanto è desiderio di essere altro da sé, o al massimo desiderio di corrispondere alle ossessioni di un altro (il desiderio di sua moglie). Finisce così per scoprire che la vita è nulla:
La vita non è che un'ombra che cammina; un povero attore
che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena
e del quale poi non si ode più nulla: una storia
raccontata da un idiota, piena di rumore e furore,
che non significa nulla.
L'uomo del Gestsemani ci indica un'altra strada.
Nelle notti interminabili di Dunsinane Macbeth ha cercato il nascondimento dei propri delitti, compiuti in nome di un desiderio che non è il suo, in quanto è desiderio di essere altro da sé, o al massimo desiderio di corrispondere alle ossessioni di un altro (il desiderio di sua moglie). Finisce così per scoprire che la vita è nulla:
La vita non è che un'ombra che cammina; un povero attore
che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena
e del quale poi non si ode più nulla: una storia
raccontata da un idiota, piena di rumore e furore,
che non significa nulla.
L'uomo del Gestsemani ci indica un'altra strada.
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