Cerca nel blog

giovedì 31 dicembre 2020

misura bene lo stupore delle differenze

 



CREPA MATTUTINA


Scava la tua miseria,

sondala, scopri le sue caverne più nascoste.

Olia gli ingranaggi della tua miseria,

mettila sul tuo cammino, fatti strada al suo fianco

e bussa a ogni porta

con le cartilagini bianche della tua miseria.

Confrontala con quella di altre genti

e misura bene lo stupore delle differenze,

la singolare acutezza dei suoi bordi.

Riparati negli angoli lievi della tua miseria.

Tieni presente in ogni istante

che la sua materia è la tua materia,

l’unico porto di cui conosci ogni rada,

ogni boa, ogni segnale dalla terra tiepida

dove giungi a regnare come Crusoe

tra la moltitudine di ombre

che ti sfiorano e che urti

senza cogliere né il suo proposito né i costumi.

Coltiva la tua miseria,

rendila duratura,

nutriti della sua linfa,

avvolgiti nel manto tessuto coi suoi fili più segreti.

Impara a riconoscerla fra tutte,

non permettere che sia familiare agli altri

né prolungata abusivamente dai tuoi.

Sia per te come acqua battesimale

sgorgata dalle grandi fogne municipali,

come i rivoli che nascono nei mattatoi.

Si confonda con le tue viscere, la tua miseria;

contenga fin da ora i capitoli della tua morte,

gli elementi del tuo abbandono più certo.

Non lasciare mai da parte la tua miseria,

anche se riposassi ai suoi argini

come vicino al corpo bianco

da cui si è ritirato il desiderio.

Tieni sempre pronta la tua miseria

e non permettere che evada per distrazione o per inganno.

Impara a riconoscerla fin nei suoi segni più lievi:

l’accartocciarsi delle sottili foglie del carbonero,

l’aprirsi dei fiori al primo fresco della sera,

la solitudine di una gabbia da circo bloccata nel fango

del cammino, la fuliggine nei sobborghi,

la gavetta d’ottone che misura la minestra nelle caserme,

i vestiti disordinati dei ciechi,

le campanelle che disperdono il richiamo

sul retro seminato di eucalipti,

lo iodio delle navigazioni.

Non mescolare la tua miseria con le questioni di ogni giorno.

Impara a conservarla per le tue ore di svago

e intreccia con lei la vera,

la sola materia duratura

del tuo episodio sulla terra.


         di Álvaro Mutis da “SUMMA DI MAQROLL IL GABBIERE”


Ci accingiamo in queste ore a salutare questo anno così difficile e mentre riguardavo le pagine del mio diario di bordo mi è venuto in mente Maqroll il gabbiere, un tipo che dovete assolutamente conoscere, sebbene i posti che ama frequentare non siano proprio raccomandabili. 

Nelle navi a vela di un tempo il gabbiere era il marinaio che si arrampicava sugli alberi e sui pennoni più alti per manovrare le vele o stare di vedetta. Ora le cose sono un po' cambiate ma lui spesso è solo lassù, vede prima degli altri l'ombra della terra a lungo attesa, l'arrivo di un fortunale che oscura il cielo, il soffio di una balena che si alza a tribordo. Il poeta colombiano Álvaro Mutis ha fatto del marinaio Maqroll, un gabbiere appunto, il protagonista dei suoi romanzi, la voce principale della sua poesia.

Mentre veglia sull'albero più alto, Maqroll percorre con lo sguardo "profumi, case abbandonate", vede alzarsi il fumo degli alambicchi, ode il canto delle Terre Alte. Il gabbiere scorge e grida allegrie e miserie, la stoltezza degli uomini, la danza dell'allegria. Contempla insieme la vita sofferta a sorsi e il filo di una spada rosa dalla ruggine. Guardando le cose da lassù ha imparato che la vita è la presa di coscienza della sconfitta, ma la sua via non è quella della resa, ma quella gioiosa della disperanza, in cui ha ancora senso la parola del poeta:

Lo stesso Maqroll ci avverte al riguardo in un'altra poesia dal titolo "I lavori perduti" : 

A nulla serve che il poeta lo dica ... la poesia è fatta da sempre. Vento solitario. Artiglio disseccato e friabile di un uccello potente e tranquillo, vecchio d'età  e valoroso nel suo ultimo istante.  



giovedì 24 dicembre 2020

le stelle accorrono

 

Giotto, la Natività (fonte Wikipedia)


LA LUCE CHE VIENE


Perfino così tardi avviene:

l’amore che arriva, la luce che viene.

Ti svegli e le candele si sono accese forse da sé,

le stelle accorrono, i sogni entrano a fiotti nel cuscino,

sprigionano caldi bouquet l’aria.

Perfino così tardi gli ossi del corpo splendono

e la polvere del domani s’incendia in respiro.


      di Mark Strand,  traduzione di Damiano Abeni



Natale 2020 -  Voglio fare gli auguri a tutti i lettori e i viaggiatori che incrociano quando possono le poesie di questo blog. Auguri con una poesia ovviamente, di pochi versi, ma preziosissimi per la loro capacità di illuminare  - al modo di una stella tenue -  una parte di quel mistero che oggi ci va interrogando. L'oscurità non ha l'ultima parola sui destini dell'uomo, la luce viene, persino quando ormai si è smesso di attenderla, persino così tardi, in modi del tutto inconsueti, come delle candele che danno luce senza che alcuno le abbia accese. Come la fanciulla di Nazareth che mescola insieme in questa notte le grida del parto e le preghiere che porta nel cuore.

E tutto, persino delle vecchie ossa, si riveste di splendore e fiamma.





mercoledì 16 dicembre 2020

unica voce il cui respiro sento

 




La notte è mia sorella, io nel profondo

dell’amore annegata, giaccio a riva,

acque ed alghe a fior d’onda mi lambiscono,

mi ferirà la draga, e c’è di più:

lei, solo braccio teso dalla sabbia,

unica voce il cui respiro sento

a sgelarmi le nari, ad aprirmi la mano,

lei potrebbe avvisarti, se tu udissi.

Ma di certo è impensabile che un uomo

in sí dura tempesta lasci il quieto

focolare e s’imbarchi al salvataggio

di un’annegata per portarla a casa,

sgocciolante conchiglie sul tappeto.

Buia è la notte, e per me piange al vento.

        

di Edna St. Vincent Millay,  L’amore non è cieco (Crocetti, 2001), traduzione di  Silvio Raffo


e questa è la versione originale:

Night is my sister, and how deep in love,

How drowned in love and weedily washed ashore,

There to be fretted by the drag and shove

At the tide's edge, I lie—these things and more:

Whose arm alone between me and the sand,

Whose voice alone, whose pitiful breath brought near,

Could thaw these nostrils and unlock this hand,

She could advise you, should you care to hear.

Small chance, however, in a storm so black,

A man will leave his friendly fire and snug

For a drowned woman's sake, and bring her back

To drip and scatter shells upon the rug.

No one but Night, with tears on her dark face,

Watches beside me in this windy place.


E' notte. Parla una donna, una donna annegata, cose che accadono nelle poesie. La corrente l'ha deposta sulla riva, il corpo lambito di acque e alghe, destinato ad un ultimo oltraggio: lo scempio che le prepara il braccio meccanico di una draga. Eppure a questo stesso braccio, al motore che lo solleva - unica voce il cui respiro sento -, la donna annegata affida uno scarto di speranza. Sarà lei, forse, la scavatrice a farsi messaggera per l'amato, a dirgli del suo pericolo.

Soli, sulla spiaggia, nella notte buia rimangono la donna annegata e la macchina d'acciaio. L'uomo non giungerà a soccorrerla, non certo in una notte di tempesta come questa. Non la porterà a casa sua in questo stato, a sgocciolare conchiglie sul tappeto.

Per lei sola intanto piange il vento.

Quale straordinaria forza evocativa in queste immagini: una notte di bufera, una donna annegata, sola su una spiaggia, la sua sola compagnia una gru di acciaio, immagino arrugginita dalla salsedine e questo struggente ultimo pensiero che scivola tra i denti con il suo ultimo respiro ... se tu udissi

Se volete leggere le poesie di Edna St. Vincent Millay e vi dico che ne vale la pena, le trovate pubblicate in italiano da Crocetti, uno degli editori  più interessanti e coraggiosi del nostro panorama culturale. Sono andato a leggermi sul sito della casa editrice il ritratto di Edna: scopro così che è stata l’eroina dell’età del jazz, la poetessa più amata e più letta nell’America degli anni venti. Il suo sex appeal - dicevano - aveva l’effetto di una droga sulle persone. Thomas Hardy disse che c’erano soltanto due grandi cose negli Stati Uniti: i grattacieli e la poesia di Edna. Insomma davvero una che valeva la pena conoscere, "Interpretò una femminilità libera e spregiudicata - aggiunge il suo profilo - e raccontò l’amore romantico ma senza illusioni, la precarietà della vita e la tristezza senza rassegnazione. Le poesie di Edna conservano una forza che il tempo non ha scalfito. 

Incuriosito ed affascinato sono andato a cercare qualche notizia in più sulla poetica di Edna; il suo traduttore Silvio Raffo, in una intervista a Pangea News, (potete leggerla integralmente qui la-bad-girl-della-poesia-americana/)  ci spiega che "le tematiche ricorrenti nella poesia di Edna St. Vincent Millay sono quelle della grande tradizione shakespeariana: la caducità del tempo, l’eternità della Bellezza, la fragilità della condizione umana. Un certo cinismo incrina il romanticismo di base, come accade anche nella poetessa a lei maggiormente affine, Sara Teasdale. Una voce femminile disincantata. Insomma, una bad girl che conquistò i giovani del Greenwich Village proprio in virtù della sua spregiudicatezza. I suoi testi parlano spesso d’amore, in toni che talvolta parrebbero intrisi di romanticismo, ma il fatto è che il suo “romanticismo” è un’erma bifronte, una sorta di amabile bluff. In Spring, una poesia in cui si ricollega all’Eliot di “Aprile è il mese più crudele”, lo dice chiaramente: “I know what I know” e questo potrebbe, a ben vedere, essere il suo motto. "

lunedì 7 dicembre 2020

inchiostri leggeri di piume sottili

 


DELICATA FESSURA


Ti rovescio parole di carta,

cascate di lettere che esondano a terra.


Puoi farne origami di storie,

teatrini di ombre o alfabeti sonori,

puoi farne collage di momenti,

ritagli di pelle, timbri di baci.


Non sono pesanti le mie parole

ma inchiostri leggeri di piume sottili.


Scroscia la schiuma se bagna la sabbia

talmente potente che non fa rumore,

sussurro con voce pacata

allo spiraglio della tua mente.


In te, delicata fessura,

riverso parole tra i tagli imperfetti.


Puoi farne ciò che desideri

soltanto ti chiedo, abbine cura.

Preservale intatte a scaldare il tuo petto

Richiudi quel varco,


poi getta la chiave.


         di Francesca Pardini



Così da Parigi scriveva Rainer Maria Rilke ad un giovane poeta che gli chiedeva un giudizio sulle sue poesie: "Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità."

Nel viaggio verso una stella tenue  mi capita di incontrare molte persone  diverse. Alcune hanno una mappa che conduce alla dimore di una poetessa che non conoscevo, altre mi mostrano una lente con la quale osservo nuove realtà in versi su cui a lungo avevo meditato invano. A volte ho percepito un grido,  di aiuto o più semplicemente la richiesta di fare un tratto di strada insieme. Vi sono infine coloro che danno voce ad un'urgenza  necessaria, ad un appello ineludibile: sono poeti giovani o che non hanno trovato ancora il loro spazio nel mondo dell'editoria. Ho deciso quindi di creare un angulus in questo blog dedicato a tutti loro, a tutti coloro che scrivono nell'ora più quieta della loro notte.


Francesca mi ha raccontato questo di sé e della sua poesia: "Da bambina disegnavo sui tovaglioli di carta quando non avevo a portata di mano carta e penna. Da ragazza ho testato i pennelli e l’odore dell’olio e dell’acqua ragia li ho ancora impressi nel repertorio dei ricordi evergreen. Ho sempre rincorso le immagini, le ho studiate, le ho ammirate, le ho spiegate agli altri. Opere d’arte, rappresentazioni, qualsiasi materiale creato che possa essere sottoposto alla nostra percezione. L’estetica è realmente tutto ciò che riguarda la percezione dei nostri sensi e sono tutte incredibilmente concatenate in una macchina complessa, che vuole solo essere guidata nel modo giusto. Cosa mi spinge a scrivere? La necessità di riportare con le parole un’esperienza o il frammento di un’idea che posso avere realmente vissuto o che mi è stata suggerita da ciò che osservo, da ciò che mi circonda. Questo  momento mi si presenta attraverso immagini, e queste corrispondono ad  un mondo infinito di parole. Abbiamo una lingua talmente ricca di sfumature che poterle usare non è così diverso dall’avere in mano una tavolozza di colori e poter scegliere quelli giusti, di fronte a una tela bianca. Anche se la scelta fosse quella di non usare alcun colore. La scrittura è  un  gioco incredibile di variabili, e la   poesia  ne è l’essenza. Ho un approccio naturale alla sintesi, ma lascio anche scorrere la penna a lungo quando serve. D’altronde nell’arte c’è stato bisogno di un Lucio Fontana ma anche delle follie di Jackson Pollock. Voglio pensare che nella poesia, nella mia poesia, possa essere lo stesso."

Il passo di Rilke che ho citato è tratto da una delle lettere pubblicate di recente in Italiano da Adelphi, in "Lettere ad un giovane poeta": "Le Lettere a un giovane poeta furono realmente indirizzate da Rilke al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908. Pubblicate postume nel 1929, si diffusero in breve tempo nei paesi di lingua tedesca come una specie di breviario – non tanto d’arte quanto di vita. Oggi, nella generale riscoperta di Rilke, ormai sfrondato di quegli omaggi sensibilistici che per molti avevano a lungo impedito l’accesso alla sua grande poesia, queste pagine tornano a essere una guida preziosa. Fin dalle prime righe, esse ci danno l’accordo che poi sentiremo risuonare in ogni parola di Rilke: «La maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in uno spazio che mai parola ha varcato, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce, perdura». Scrivere, per Rilke, era al tempo stesso un atto che poneva esigenze assolute, mutando la vita intera, e un oscuro processo biologico, una fermentazione delicata dove alla coscienza spettava soprattutto di stare in ascolto, esercitando un’ardua «passività attiva». E proprio in queste lettere Rilke ha saputo illustrare la sua «via» alla letteratura con le parole più precise e più dense. Unite a due altri brevi testi di carattere affine (le Lettere a una giovane signora e Su Dio), le Lettere a un giovane poeta vengono qui proposte nella celebrata versione di Leone Traverso, che fu uno dei primi e più felici interpreti di Rilke in Italia" (dalla prefazione Adelphi)

martedì 1 dicembre 2020

sentirti destino intrecciato

alla mia sposa 


Marc Chagall, Le tre candele 


Alcesti


Ma solo pensare a te.

Non è una figura che viene

una nitida traccia.

È come cadere in un posto

con un po’ di dolore.


Tu sei il mio tu piú esteso

deposto sul fondo mio. Tu. Non c’è

un’altra forma del mondo

che si appoggi al mio cuore

con quel tocco, quell’orma.

Tu. Tu sei del mondo la piú cara

forma, figura, tu sei il mio essere a casa

sei casa, letto dove

questo mio corpo inquieto riposa.

E senza di te io sono lontana

non so dire da cosa ma

lontana, scomoda un poco

perduta, come malata,

un po’ sporco il mondo lontano da te,

piú nemico, che punge, che

graffia, sta fuori misura.


Mio vero tu, mio altro corpo

mio corpo fra tutti mio

piú vicino corpo, mio corpo destino

ch’eri fatto

per l’incastro con questo mio

essere qui in forma di femmina

umana. Mio tu. Antico suono

riverberante, antico

sentirti destino intrecciato

sentire che sei sempre stato,

promesso da ere lontane

da distanze cosí spaventose

cosí avventurose distanze da

lontananze sacre.


Tu sei sacro al mio cuore.

Il mio fuoco

brucia da sempre col tuo

il mio fiato.


Io parlo delle forze −

di correnti sul fondo del mio lago

sul fondo del tuo, oscure e potenti,

piú del tempo dure piú dello

spazio larghe, ma sottili

al nostro sentire,

afferrate appena

e poi perdute, nel loro gioco.


Che cosa siamo io e te? Che cosa eravamo

prima di questo nome? E ancora

saremo qualcosa, lo sappiamo e non

lo sappiamo, con un sentire

che non è intelligente lavorio cerebrale.


Nessuna parte di corpo che muore

nessun pezzo umano, nessun arto,

nessun flusso di sangue, nessun

cuore, nessuno, niente che sia

stretto nel giro del sole, niente

che sia solo terrestre umano muove

il tuo cuore al mio, il mio al tuo,

come fossero due parti di un uno.


Allora tu sei la mia lezione piú grande

l’insegnamento supremo.

Esiste solo l’uno, solo l’uno esiste

l’uno solamente, senza il due.


                                 Mariangela Gualtieri, da “Bestia di gioia”, Einaudi, Torino, 2010