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lunedì 7 dicembre 2020

inchiostri leggeri di piume sottili

 


DELICATA FESSURA


Ti rovescio parole di carta,

cascate di lettere che esondano a terra.


Puoi farne origami di storie,

teatrini di ombre o alfabeti sonori,

puoi farne collage di momenti,

ritagli di pelle, timbri di baci.


Non sono pesanti le mie parole

ma inchiostri leggeri di piume sottili.


Scroscia la schiuma se bagna la sabbia

talmente potente che non fa rumore,

sussurro con voce pacata

allo spiraglio della tua mente.


In te, delicata fessura,

riverso parole tra i tagli imperfetti.


Puoi farne ciò che desideri

soltanto ti chiedo, abbine cura.

Preservale intatte a scaldare il tuo petto

Richiudi quel varco,


poi getta la chiave.


         di Francesca Pardini



Così da Parigi scriveva Rainer Maria Rilke ad un giovane poeta che gli chiedeva un giudizio sulle sue poesie: "Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità."

Nel viaggio verso una stella tenue  mi capita di incontrare molte persone  diverse. Alcune hanno una mappa che conduce alla dimore di una poetessa che non conoscevo, altre mi mostrano una lente con la quale osservo nuove realtà in versi su cui a lungo avevo meditato invano. A volte ho percepito un grido,  di aiuto o più semplicemente la richiesta di fare un tratto di strada insieme. Vi sono infine coloro che danno voce ad un'urgenza  necessaria, ad un appello ineludibile: sono poeti giovani o che non hanno trovato ancora il loro spazio nel mondo dell'editoria. Ho deciso quindi di creare un angulus in questo blog dedicato a tutti loro, a tutti coloro che scrivono nell'ora più quieta della loro notte.


Francesca mi ha raccontato questo di sé e della sua poesia: "Da bambina disegnavo sui tovaglioli di carta quando non avevo a portata di mano carta e penna. Da ragazza ho testato i pennelli e l’odore dell’olio e dell’acqua ragia li ho ancora impressi nel repertorio dei ricordi evergreen. Ho sempre rincorso le immagini, le ho studiate, le ho ammirate, le ho spiegate agli altri. Opere d’arte, rappresentazioni, qualsiasi materiale creato che possa essere sottoposto alla nostra percezione. L’estetica è realmente tutto ciò che riguarda la percezione dei nostri sensi e sono tutte incredibilmente concatenate in una macchina complessa, che vuole solo essere guidata nel modo giusto. Cosa mi spinge a scrivere? La necessità di riportare con le parole un’esperienza o il frammento di un’idea che posso avere realmente vissuto o che mi è stata suggerita da ciò che osservo, da ciò che mi circonda. Questo  momento mi si presenta attraverso immagini, e queste corrispondono ad  un mondo infinito di parole. Abbiamo una lingua talmente ricca di sfumature che poterle usare non è così diverso dall’avere in mano una tavolozza di colori e poter scegliere quelli giusti, di fronte a una tela bianca. Anche se la scelta fosse quella di non usare alcun colore. La scrittura è  un  gioco incredibile di variabili, e la   poesia  ne è l’essenza. Ho un approccio naturale alla sintesi, ma lascio anche scorrere la penna a lungo quando serve. D’altronde nell’arte c’è stato bisogno di un Lucio Fontana ma anche delle follie di Jackson Pollock. Voglio pensare che nella poesia, nella mia poesia, possa essere lo stesso."

Il passo di Rilke che ho citato è tratto da una delle lettere pubblicate di recente in Italiano da Adelphi, in "Lettere ad un giovane poeta": "Le Lettere a un giovane poeta furono realmente indirizzate da Rilke al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908. Pubblicate postume nel 1929, si diffusero in breve tempo nei paesi di lingua tedesca come una specie di breviario – non tanto d’arte quanto di vita. Oggi, nella generale riscoperta di Rilke, ormai sfrondato di quegli omaggi sensibilistici che per molti avevano a lungo impedito l’accesso alla sua grande poesia, queste pagine tornano a essere una guida preziosa. Fin dalle prime righe, esse ci danno l’accordo che poi sentiremo risuonare in ogni parola di Rilke: «La maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in uno spazio che mai parola ha varcato, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce, perdura». Scrivere, per Rilke, era al tempo stesso un atto che poneva esigenze assolute, mutando la vita intera, e un oscuro processo biologico, una fermentazione delicata dove alla coscienza spettava soprattutto di stare in ascolto, esercitando un’ardua «passività attiva». E proprio in queste lettere Rilke ha saputo illustrare la sua «via» alla letteratura con le parole più precise e più dense. Unite a due altri brevi testi di carattere affine (le Lettere a una giovane signora e Su Dio), le Lettere a un giovane poeta vengono qui proposte nella celebrata versione di Leone Traverso, che fu uno dei primi e più felici interpreti di Rilke in Italia" (dalla prefazione Adelphi)

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