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lunedì 8 febbraio 2021

per coloro che vegliano la miniera del tempo

 



Città


Un pianto,

un pianto di donna

interminabile,

acquietato,

quasi tranquillo.

Nella notte, un pianto di donna mi ha svegliato.

Prima un rumore di una serratura,

dopo piedi che vacillano,

e poi, all'improvviso, il pianto.

Sospiri intermittenti

come scrosci di un’acqua interiore,

densa,

imperiosa,

inesauribile,

come una chiusa che accumula e libera le sue acque

o come un'elica segreta

che ferma e riprende il suo lavoro

travasando il bianco tempo della notte.

Tutta la città è andata riempiendosi di questo pianto,

fino ai retri dove si accumulano le immondizie,

sotto le cupole degli ospedali,

sulle terrazze dell’estate,

nelle celle discrete  della prostituzione,

tra i fogli che scivolano lungo viali solitari,

con il vapore tiepido di certe cucine militari,

tra le medaglie che riposano nei cofanetti di teck,

un pianto di donna che ha pianto lungamente

nella stanza a fianco,

per tutti quelli che scavano la propria tomba nel sonno,

per coloro che vegliano la miniera del tempo,

per me che lo ascolto

senza conoscere altro

che il suo fragile rotolare all’intemperie

inseguendo le tacite sabbie dell’alba.


            di Álvaro Mutis, traduzione di Fabio Rodriguez Amaya


Nella notte, da una stanza chiusa a chiave si alza il pianto di una donna. Sembra non finire mai, poi si acquieta, diventa quasi tranquillo, riprende, denso, inesauribile. Come una diga che riversa le sue acque, tutte. La città lentamente si riempie di questo pianto, fino ai luoghi dove non tutti vanno, dove non si spinge lo sguardo volentieri. Si alza tra le cartacce di un viale solitario, oltre le stanzette dove le monete comprano l'illusione della passione, tra le medaglie concesse per antiche imprese. 

Non è solo per sé che piange questa donna eppure il suo pianto è come l'orazione di un'anacoreta che sfregia il silenzio del deserto. Il pianto della donna è per molti, ma solo un uomo sembra ascoltare. Si tratta di un personaggio conosciuto, il marinaio Maqroll, il Gabbiere, l'io poetico a cui Mutis ha affidato il compito di cantare le sue storie. E Maqroll è sveglio, ascolta il pianto che ora si arresta ora fluisce inarrestabile. Non sa nulla, se non  il suo fragile rotolare. Strano movimento questo del rotolare, non dipende dai muscoli, né dal senso di orientamento, ma dalla gravità e dalla inclinazione della terra. Basta un sussulto e si comincia a girare su se stessi,  nemmeno serve volerlo. Un rotolare fragile sembra una attività pericolosa; certo una cosa fragile che rotola andrà facilmente in frantumi, gli urti lasceranno cicatrici e  toglieranno via qualche pezzo. 

Nei versi finali di questa poesia i sensi vengono imprigionati da suoni e colori ora apollinei ora dionisiaci (secondo la bella espressione di Fabio Rodriguez Amaya), immagini di vita e di morte si confondono procedendo lungo traiettorie misteriose . Siamo di fronte all'epifania di un oracolo, nell'ora dell'estremo pericolo. Ma non abbiamo la vista sufficientemente aguzza, i sillogismi si arrestano impotenti sulle labbra.

Resta - e non è poco - il destino di ascoltare quel pianto. Forse è tutto quello che fa ancora la differenza: vegliare ed ascoltare.


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