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domenica 14 febbraio 2021

come il fiore del Loto



Quando cade,

solo allora galleggia

il fiore del loto.

                                Yamamoto Yosaburō

                                                  Diciotto aprile del ventesimo anno Shōwa (1945)

Questa è la poesia dell'addio (o Jisei come dicono i Giapponesi) che scrisse il sottotenente Yamamoto prima di decollare con il suo aeroplano per il suo ultimo viaggio: un'azione suicida destinata a colpire un bombardiere B-29 nemico. Erano quelli i giorni in cui prendeva corpo l'ultimo disperato tentativo di difendere "la terra del sole", poche settimane prima che una strana luce cancellasse per sempre la città di Hiroshima. Quei giovani aviatori passeranno alla storia come Kamikaze.
 Il Jisei in questione è citato nella preziosa raccolta curata da Ornella Civarda per la casa editrice SE, di cui ho già avuto modo di parlare su questo blog. Chi oggi si recasse nel giardino del tempio buddista di Renjōji, poco lontano da dove decollò il giovane Yamamotō, lo troverebbe scolpito sulla pietra del monumento alla pace che lì è stato eretto dopo la guerra.

Se vogliamo provare ad avvicinarci all'ispirazione profonda di questa poesia, non possiamo partire che dal fiore del Loto, a cui è connessa, nella cultura orientale, una vasta rete di significati simbolici, iconografici e spirituali: solo a titolo di esempio, si può citare il fatto che uno dei testi fondativi del buddismo è conosciuto come Sutra del Loto. 

Il Loto è una pianta acquatica meravigliosa, le foglie possono raggiungere un metro di diametro; galleggia in stagni e pozze d'acqua mentre le sue radici  prendono nutrimento dal fango melmoso in cui affondano.  Bellissimo sulla superficie di uno stagno, il fiore è inseparabile tuttavia dall'opacità delle acque sottostanti e dall'impurità della terra umida dalla quale trae vita. Il Loto è in questo senso immagine dell'Illuminazione: siamo radicati nel fango, ovvero nella catena delle aspettative e dei desideri sempre insoddisfatti, nella prigione dell'attaccamento che rende tutto oscuro. Ma possiamo anche diventare il fiore bellissimo che galleggia sulle acque senza esserne macchiato: i piedi sono piantati nel fango, la purezza dei colori galleggia sulle acque.

In questa struggente poesia del commiato, scritta in un mattino di aprile nell'imminenza di un volo senza ritorno, il fiorire del Loto, il suo galleggiare sulle acque stagnanti e torbide, e quindi il dischiudersi della vista che diviene limpida, libera da ogni inganno, è associato al cadere. E' probabile che il giovane Yamamoto avesse in mente il tempo in cui cadono i fiori di ciliegio, che da sempre in Giappone ha un profondo significato simbolico ed è vissuto intensamente, come una festa piena di malinconica gratitudine. Ciò che è bello - infatti - è destinato a cadere, a trascorrere velocemente, ma la bellezza che ci circonda è pur sempre attorno a noi e il suo trapassare può essere ancora vissuto con una commossa partecipazione che non indulge all'illusione. 

C'è un paradosso straordinario e potente in questa immagine: un fiore dalla bellezza inebriante diventa ciò che è per il fatto di allungare le sue radici attraverso acque putride ed opache e agganciarle nel fango e nella melma. 

Non posso fare a meno di pensare, tuttavia, che il nostro pilota poeta abbia voluto in questi versi dare espressione ad un altro cadere, più prossimo e drammatico per lui: quello del suo aeroplano, in mezzo alle nubi e alle esplosioni, mentre vola verso il suo obiettivo. Cadere dunque, per fiorire, precipitare tra il fuoco per galleggiare, sulle acque stagnanti dell'inazione e della rassegnazione. E il sorriso del risveglio che distende lo sguardo nella contemplazione del trascorrere del tutto.





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