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martedì 24 settembre 2019

La foresta





Dovresti sdraiarti ora e ricordare la foresta,
perché sta sparendo –
no, la verità è che è scomparsa ormai
e così qualsiasi dettaglio tu possa richiamare alla memoria
potrebbe avere una specie di vita.

Non quella che avevi sperato, ma una vita
-dovresti sdraiarti ora e ricordare la foresta-
tuttavia, potresti chiamarla “nella foresta,”
no la verità è, che è scomparsa ormai,
cominciando in qualche posto vicino all’inizio, a quel bordo,

O invece al primo strato, al posto che ricordi
( non quella che avevi sperato, ma una vita )
quasi fosse solido sotto i piedi, perché quel posto è un mare,
tuttavia, potresti chiamarlo “nella foresta,”
sul quale non possiamo mai andare alla deriva, essendo lì o no,

Rasenti a nessuna superficie. E anche al nulla nella vita,
o invece al primo strato, al posto che ricordi,
mentre gli strati si piegano nel tempo, nell’humus nero,
quasi fosse solido sotto i piedi, perché quel posto è un mare,
come una mano sinistra che scende leggera, sempre sulle stesse chiavi.

I variopinti uccelli della foresta cantano di là da te
rasenti a nessuna superficie. E anche al nulla nella vita,
cantano senza una musica dove non ci può essere armonia,
mentre gli strati si piegano nel tempo, nell’humus nero,
dove vasti panneggi di luce si stagliano fra i tronchi grigi,

Dove l’aria è intessuta di muschio che s’asciuga,
i variopinti uccelli della foresta cantano di là da te:
un aroma di muschio dai funghi e dalle trine di muffe.
Cantano senza una musica dove non ci può essere armonia,
benché qualcosa cada dall’alto nelle foglie secche,

Niente che scenda qui da noi.
Dove l’aria è intessuta di muschio che s’asciuga,
(in quel posto dove son cresciuta) la foresta in un groviglio,
un aroma di muschio dai funghi e dalle trine di muffe,
dolce-stellato andare, in un groviglio di rovi, di felci

E lente cordicelle di cinquefoglia, falsa fragola, sommàcco-
niente che scenda qui da noi,
macchiato. Un ramo basso che dondola sopra un torrente
in quel posto dove son cresciuta, la foresta in un groviglio,
e uno spazio cavo proprio dell’ampiezza delle scapole.
.
Puoi capire quel che faccio se penso al varco-
e alle lente cordicelle di cinquefoglia, falsa fragola, sommàcco-
come a una specie di limite. A volte immagino noi che camminiamo lì
(…fitolacche, macchiati. Un ramo basso che dondola sopra un torrente)
in un posto che è qualcosa di simile a una foresta.

Ma forse d’altro tipo, dove il suolo è sotto una coltre
( puoi capire quel che faccio se penso al varco)
di verdi aghi cedevoli, lì sotto le fronde di pino,
una specie di limite. A volte immagino noi che camminiamo lì.
E affrettandosi di sotto brune s’adagiano le affilate foglie,

La nerezza che si sfigura, poi la bulbosa fosforescenza delle radici.
Ma forse d’altro tipo, dove il suolo è sotto una coltre,
così stranamente simile eppure anche così originale, sotto
i verdi aghi cedevoli, le fronde di pino.
Una volta eravamo perduti nella foresta, così stranamente simile eppure anche così originale,
ma la verità è, che essa è, ormai perduta per noi.


                                          Susan Stewart, Columbarium e altre poesie (1981-2003), Ares 2006, traduzione e cura di Maria Cristina Biggio


Susan Stewart vive tra Filadelfia e Princeton. Poetessa e traduttrice, si è occupata anche di critica d'arte. Nel 2005 ha ottenuto il titolo di chancellor dall'Academy of American Poets ed è membro dell'American Academy of Arts and Sciences. Docente di discipline umanistiche presso la Princeton University, in Italia sono stati pubblicati due libri, Columbarium e altre poesie, (Ares 2006) e Red Rover, (Jaca Book 2011), a cura di Maria Cristina Biggio.

Per l'analisi della poesia di Susan Stewart lascio la parola a Maria Cristina Biggio che della poetessa americana ha curato le edizioni italiane. L'intervento completo  lo trovate in
 http://poesia.blog.rainews.it/2012/01/susan-stewart-due-poesie/


La poesia La foresta apre la raccolta Columbarium, ma in realtà  "l'intero volume si avvolge tenacemente attorno a questo inizio, raccontando la poetica dell’attraversamento per strati consci e inconsci del passato e della memoria (dell’umano e della foresta). Se il suo fitto e buio groviglio rifiuta d’essere esplorato se non per lo spazio impervio dell’esperienza “proprio dell’ampiezza delle spalle”, il “dolce-stellato andare”, il trasumanar della poesia scaverà fino nelle profondità più nascoste e sarà continuamente sostenuto dalla nostalgia delle origini e dal desiderio che ciò che è stato e ciò che è siano ancora, sempre e in ogni dove, casa, luogo dove si è cresciuti.
Cominciando in qualche posto vicino all’inizio, a quel bordo 
 O invece al primo strato, al posto che ricordi,

Scandita nei suoi movimenti figurativi e conoscitivi dal contrasto, ottico e mentale, tra un punto più luminoso e uno più scuro – tra seme e cenere, morte naturale e rigenerazione, “nerezza che si sfigura” e “bulbosa fosforescenza delle radici”, musica e silenzio – essa tenterà continuamente di far riemergere i più piccoli dettagli di tutto quel che è forestis, che è al di là di noi, affinché essi possano avere una specie di vita. "

Nel suo attraversamento fino alla “svolta” che apre la seconda sezione del libro, - nota ancora Maria Cristina Biggio - Stewart sembra volerci consegnare il fardello di un passato collettivo segnato dagli orrori della storia che non si possono e non si vogliono dimenticare.  La disturbante massa di fatti rubati alle atrocità del vero – macellazioni, stupri, violenze, cannibalismi – in cui tragicamente “ciascuno potrebbe essere il soggetto”, diventa prolungata allegoria di veritade ascosa sotto bella menzogna (secondo l'espressione usata da Dante in Convivio II,4).

"Il neo-residente della foresta-metropoli-labirinto, che ha dolorosamente conquistato una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie azioni ascoltando e prendendosi cura dell’altro da sé, sarà richiamato al luogo del suo principio, alla radura luminosa cui ogni sentiero conduce, dove qualcosa di nuovo comincerà finalmente a essere, nell’atrofia spirituale e a svelarsi alla conoscenza [...]

La foresta si rivela così complessa e potente metafora di tutto quel che è forestis, di quel che sta al di là da noi e ci trascende. Con le parole della Stewart, la foresta è “risorsa della natura, di tutto ciò che è oltre i fatti della storia, oltre i nostri concetti di spazio e tempo e le categorie e il nostro modo di conoscere e che, in quanto tale, precede la memoria e l’invenzione. La natura è l’indefinibile, l’illimitata risorsa al di sopra della quale la conoscenza si innalza – proprio come l’invisibilità sta al di là del visibile – non in senso mistico ma come un reale riconoscimento del limite dei nostri poteri analogo alla finitudine sancita dalle nostre morti individuali”.

L’amato modo della ripetizione assume in questo testo un particolare potere incantatorio. Via via che la poesia cresce e cambia forma pur restando sempre uguale, essa delinea una struttura non-lineare e spaziale del tempo che resiste allo sviluppo narrativo. Procedendo con le ripetizioni i versi svelano i propri limiti e le proprie frontiere, e tendono a farsi casa (del linguaggio, del ritmo, della metafora, del mito, della conoscenza, della nostalgia) le cui mura confinano con la luce e i suoi “vasti panneggi”, con la musica e il silenzio. I variopinti uccelli che cantano di là da noi “senza una musica” si appellano al non-essere o al pre-essere delle melodie non udite di Keats, ovvero al silenzio primordiale dal quale e nel quale ogni musica sorge e rifluisce. Rivelando i propri limiti e la proprie frontiere la poesia riesce a farci sperimentare la certezza di qualcosa d’altro che supera e avvolge l’edificio della parola. "



1 commento:

  1. Giusto lo scorso sabato ci siamo addentrati sul Monte Fumaiolo, in una foresta nel cuore più impervio degli Appennini, fino ad un rivolo d'acqua che nasce dalla roccia: la sorgente del Tevere!
    Un luogo magico, dove emozioni come queste descritte, unite alla consapevolezza di quanto quel rivolo d'acqua abbia influito sui destini nel mondo intero, emergono prepotenti e pervedono l'animo.
    P.S. difficile deve essere rendere una poesia traducendola, che bello sarebbe, mannaggia, saperla apprezzare in originale!

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