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sabato 29 agosto 2020

ascolta il loro canto e taci!

 


Silentium!


Taci, nasconditi ed occulta

i propri sogni e sentimenti;

che nel profondo dell’anima tua

sorgano e volgano a tramonto

silenti, come nella notte

gli astri; contemplali tu      e taci.


Può palesarsi il cuore mai?

Un altro potrà mai capirti?

Intenderà di che tu vivi?

Pensiero espresso è già menzogna.

Torba diviene la sommossa

Fonte: tu ad essa bevi     e taci.


Sappi in te stesso vivere soltanto.

Dentro te celi tutto un mondo

d’arcani, magici pensieri,

quali il fragore esterno introna,

quali il diurno raggio sperde:

ascolta il loro canto     e taci!..


di Fëdor Tjutčev, traduzione di Tommaso Landolfi 



Appartenente a una famiglia dell’aristocrazia moscovita,  Fëdor Ivanovič Tjutčev (1803-1873) 

fu diplomatico oltre che eminente poeta, e dopo aver iniziato la carriera nel Collegio degli Affari esteri di Pietroburgo operò come incaricato speciale a Monaco di Baviera – dove frequentò Heine, Schelling e gli ambienti del Romanticismo tedesco – e a Torino, dove visse dal 1837 al 1839. Nel 1836 alcune sue liriche furono pubblicate dalla rivista di Puškin «Il contemporaneo», suscitando i primi, ampi consensi. Nel 1844 tornò definitivamente in Russia, mentre la sua fama di poeta cresceva dopo i riconoscimenti tributatigli da Turgenev, Fet, Dobroljubov.

Il suo universo poetico è un coacervo di visioni cosmogoniche e di rappresentazioni metafisiche che rispecchiano un dualismo di tipo manicheo: vi sono due mondi, il Caos e il Cosmo, e il secondo altro non è se non l’organismo vivente della natura, un’essenza viva e pulsante ma secondaria rispetto al Caos, l’unica vera realtà, di cui il Cosmo rappresenta un’effimera scintilla. La cosmogonia di Tjutčev si nutre di contrasti tra inaccessibili vertici di perfezione e desolate lande nordiche o spaventosi abissi dominati dal disordine notturno e dall’instabilità spettrale del fato. A questo mondo che non conosce la gioia del possesso, ma solo la perdita, la caduta, il rimpianto, e insieme la vertigine del solitario destino umano, dà voce, con esiti memorabili, la versione di Tommaso Landolfi, scrittore così affine a Tjutčev per sensibilità e magistero poetico: centoundici componimenti – trascelti lungo l’intero arco creativo del poeta – dalla struttura concisa, austera, incalzante, in cui si riversa un’inquietudine antesignana non solo del simbolismo, ma della nostra stessa sensibilità contemporanea (dal risvolto del volume Adelphi).

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