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lunedì 30 dicembre 2019

un’Itaca di verde eternità


Tetons and Snake river by Ansel Adams


ARTE POETICA


Guardare il fiume ch’è di tempo e acqua
e ricordare che anche il tempo è un fiume,
saper che ci perdiamo come il fiume
e che passano i volti come l’acqua.

Sentire che la veglia è anch’essa un sonno
che sogna d’esser desto e che la morte
che teme il nostro corpo è quella morte
di ogni notte, che chiamiamo sonno.

Decifrare nel giorno o l’anno un simbolo
dei giorni dell’uomo e dei suoi anni,
convertire l’oltraggio empio degli anni
in una musica, un rumore e un simbolo,

dire sonno la morte, nel tramonto
vedere un triste oro, è la poesia
eterna e povera. La poesia
che torna come l’aurora e il tramonto.

A volte appare nelle sere un volto
e ci guarda dal fondo d’uno specchio;
l’arte deve esser come quello specchio
che ci rivela il nostro stesso volto.

Narran che Ulisse, stanco di prodigi,
pianse d’amore nello scorgere Itaca
verde e umile. L’arte è anch’essa un’Itaca
di verde eternità, non di prodigi.

È anch’essa come il fiume interminabile
che passa e resta e riflette uno stesso
Eraclito incostante, che è lo stesso
ed un altro, come il fiume interminabile.

                                              di Jorge Luis Borges



giovedì 26 dicembre 2019

l'inflessibile fato di lui


Natività di Andrej Rublev, galleria Tret'Jakov di Mosca



Se in te semplicità non fosse, come
T’accadrebbe il miracolo
di questa notte lucente? Quel Dio,
vedi, che sopra i popoli tuonava
si fa mansueto e viene al mondo in te.

Più grande forse lo avevi pensato?
Se mediti grandezza: ogni misura umana
dritto attraversa ed annienta
l’inflessibile fato di lui. Simili
vie neppure le stelle
hanno. Son grandi, vedi, questi re;
e tesori, i più grandi agli occhi loro,
al tuo grembo dinanzi essi trascinano.
Tu meravigli forse a tanto dono:
ma fra le pieghe del tuo panno guarda,
come ogni cosa Egli sorpassi già.
Tutta l’ambra imbarcata dalle terre più remote,
i gioielli aurei, gli aromi
che penetrano i sensi conturbanti:
tutto questo non era che fuggevole
brevità: d’essi, poi, ci si ravvede;
ma è gioia – vedrai – ciò che Egli dà.


  di Rainer Maria Rilke


E' alla Vergine Maria che la voce di questa poesia si rivolge, a lei che è il fulcro attorno al quale ogni rappresentazione artistica della Natività si è costruita nei secoli, lei termine fisso d'etterno consiglio .
Se non vi fosse stata nella sua natura semplcità, il miracolo di questa notte lucente mai avrebbe potuto essere: l'immensamente grande che si fa mansuetudine. Rilke coglie con grande lucidità la dismisura enorme tra le leggi remote che regolano gli interminati spazi delle stelle e la precarietà di quella notte a Betlemme.

Sempre Maria vediamo dominare al centro della stupenda icona di Rublev dedicata alla natività: non è rivolta verso il bambino, ma verso i Magi che giungono, è rivolta verso il mondo potremmo dire. Colei che ha generato il suo Creatore, rappresenta la nostra umanità, il suo grembo è nello stesso asse di simmetria della stella e quindi del bambino. Colpisce il fatto che non lo guardi, significa che anche lei è compenetrata dal Mistero che l'attende, assorta nella contemplazione di quanto di straordinario è avvenuto: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 57).

Questo atteggiamento pensoso, meditativo di Maria lo ritroviamo anche nei versi di Rilke: fra le pieghe del tuo panno guarda/come ogni cosa Egli sorpassi già. Dentro di sé dovrà guardare per vedere al di là delle fugaci apparenze e svelare la fuggevole brevità degli ornamenti terreni.
In quello sguardo distolto dalla grotta oscura dove il bambino riposa nella mangiatoia, un evidente richiamo al sepolcro della deposizione, in quell'invito rivolto a Maria -  fra le pieghe del tuo panno guarda - sta probabilmente il segreto della forza di suggestione che da secoli la figura della Vergine continua a suscitare in artisti, poeti e negli uomini a cui accade ciò che Rimbaud ("Natale sulla terra") dice :

 Dallo stesso deserto,
nella stessa notte,
sempre i miei occhi stanchi si destano
alla stella d’argento,
sempre

sabato 21 dicembre 2019

Solstizio d'inverno



Utagawa Hirosige, Bel tempo dopo la neve


Languore d’inverno:

nel mondo di un solo colore

il suono del vento.


di Matsuo Bashō



Salutiamo il solstizio d'inverno con un haiku di Matsuo Bashō. Un minimo orizzonte di parole, secondo la definizione di Roland Barthes, racchiude tutto ciò che vedete, un frammento del fluire della vita dell'Universo sospeso in una percezione irripetibile:
uno stato di estenuazione fisica ed interiore, ma al tempo stesso di composto rilassamento ...  languore d'inverno.
La vista percorre lo spazio d'intorno, un mondo di un solo colore. Tutto è bianco per la neve caduta, immobile, la natura sembra trattenere le sue voci, sospendere il suo stesso respiro, ma ecco a risvegliare in noi la consapevolezza del trascorrere di ogni cosa, anche del gelido inverno, anche della notte che lentamente retrocede al giorno, ... il suono del vento.

Ci sono tempi 'invernali' che dobbiamo attraversare, ore in cui sembra che tutto è diventato di un solo colore e che tutto sia cristallizzato, spossessato da ogni vitalità. Orazio ha colto in modo molto efficace questa sensazione in una delle sue Odi più celebri:

Tu vedi come si levi, bianco per la neve profonda,
il Soratte, come non sostengano più il peso
i boschi affaticati e per il gelo

penetrante i ruscelli si siano fermati.

Ogni verbo in questi versi indica una stasi, una fissità addirittura innaturale per i boschi e i fiumi. Così si sente il poeta nella stagione della sua vita in cui la giovinezza è già un ricordo. L'inverno della vita non genera rimpianto, ma l'invito al suo amico a porre legna abbondante sul fuoco e a versare il vino migliore per scacciare freddo e paura. L'amicizia e il vivere dando valore al giorno (quem Fòrs dièrum cùmque dabìt lucro/adpòne) sono i rimedi dati all'uomo.

Bashō ci mostra una strada diversa, che conduce nel cuore stesso di quel mondo di un solo colore, lì tra il bianco della neve, tra i boschi che quasi non ne sostengono più il peso e dove l'acqua stessa pare fermarsi ... tendere lo spirito, affinare la percezione, ecco 
... il suono del vento.









giovedì 12 dicembre 2019

Io vivo nella Possibilità





Io vivo nella Possibilità,
una casa più bella della Prosa,
di finestre più adorna,
e più superba nelle sue porte.

Ha stanze simili a cedri,
impenetrabili allo sguardo,
e per tetto la volta
perenne del cielo.

L’allietano visite dolcissime.
E la mia vita è questa:
allargare le mie piccole mani
per accogliervi il Paradiso

di Emily Dickinson (traduzione di Margherita Guidacci)

Forse è in questa lirica di Emily Dickinson che è possibile trovare la più convincente definizione di poesia... il luogo della possibilità. Una casa ricca di finestre e superba nelle sue porte, stanze che si innalzano come cedri del Libano verso la volta perenne del cielo.

Se c'è qualcosa che vale la pena fare abitando nella possibilità questo è mettersi in ascolto, ricevere ciò che è più grande e che discende dall'Alto...

allargare le mie piccole mani
per accogliervi il Paradiso



sabato 7 dicembre 2019

dove tutto piange per come va il mondo



Foto di Rachel Talibert

CENTO VIRGILIANUS


E così, passando sotto la cupola del cielo immenso,
sospinti da tempeste e mari in burrasca, giungemmo,
chiedendoci su quale spiaggia del mondo
fossimo stati gettati. L'ululare dei cani 
si udiva per tutto il crepuscolo
e sulle tombe il crepitare che fa
un fuoco di stoppie sferzato dal vento;
e poi, da cortili ghiacciati
i lamenti striduli delle  donne si alzarono
contro le silenti stelle dorate.
All'inizio, non ci mancavano le città da cui eravamo partiti -
le case dipinte di rosa e di verde, i cigni che si cibano
tra le canne del fiume, gli scrosci di luce estiva
che  scorrono sui  pascoli.
Che importava  se avevamo sperato di trovare Apollo qui,
finalmente in trono, che importava se un freddo attanagliante
ci gelava le ossa. Eravamo giunti in un luogo
dove tutto piange per come va il mondo.

   di Mark Strand

Un "centone" è un componimento costruito con la giustapposizione di espressioni, versi o emistichi di un autore famoso, questo genere fu particolarmente coltivato nella classicità e nel Medioevo.
L'ispirazione di questa poesia, composta nel 1987, venne a Strand durante un periodo di inattività che lo aveva portato a dedicarsi al giornalismo e alla critica, fino a quando - è stato lui stesso a dichiararlo - fu ispirato da un seminario su Virgilio e dalla lettura della traduzione dell'Eneide di Robert Fitzgerald. Cento Virgilianus apparve poi nella raccolta The Continuous Life, pubblicata nel 1990.

A parlare in questa poesia è uno dei marinai di Enea, uno qualunque, nemmeno il nome sappiamo di lui, descrive il viaggio sotto la cupola del cielo immenso, una navigazione perigliosa, segnata da burrasche e tempeste che hanno gettato i Troiani, profughi per volere del Fato, su una terra ignota e straniera.

Sono le sensazioni uditive a colpirci: l'ululare dei cani, il crepitare del fuoco, i lamenti striduli delle donne. Mentre nel crepuscolo la vista coglie  un paesaggio ostile: tombe su cui si accendono fuochi di stoppie e cortili ghiacciati. Non sembra un bel posto per costruirci una casa, del resto non è che l'hanno scelto, vi sono stati gettati. Eppure...

Eppure la felicità passata non è rimpianta, né le speranze deluse lasciano nello sconforto. Apollo non abita in questa terra desolata così come il caldo e la luce delle pianure della Troade sono solo un ricordo lontano, ma non motivo di lamento.

... Eravamo giunti in un luogo
dove tutto piange per come va il mondo.

Che importa tu dici, coraggioso compagno di Enea, che importa questo freddo che un fuoco di stoppia non riscalderà, che importa il trono vuoto di Apollo che non indicherà la rotta, almeno per  il momento. E' qui, dove tutto piange per come va il mondo, il luogo dove vale la pena stare, qui dove il destino di ogni essere ferito da sventura e miseria è sottratto a oblio e indifferenza.




mercoledì 4 dicembre 2019

quella notte di dicembre






Una rara foto di Bobby Sands scattata nell'Agosto del 1976, pochi giorni prima del suo arresto




UN PENSIERO NELLA NOTTE

Mentre dall'oscurità esterna la pioggia veniva giù pesante,
in lastre d'argento che precipitano
sulla superficie nera d' asfalto
scagliando fuori un milione di fate,
di figure da favola
che saltavano e si aggiravano in movimenti frenetici,
il vento urlava triste
e sfiorava i bagliori di un migliaio di luci che illuminano il                                                                                            [ cielo.
     Quando il vento si mosse all'attacco,
chilometri di grigio filo spinato iniziarono ad ondeggiare
ed agitarsi in segno di protesta.
Un cancello non chiuso sbatté
e l'abbaiare spaventato di un cane da guardia
serrò il vento e lo portò dentro la notte.
Poi, come se il buon Dio avesse schioccato le dita,
cadde il silenzio.
     Il vento era domato e le fate
si aggrappano al filo grigio
come una moltitudine di perle scintillanti.
La calma che seguì
e l'improvviso silenzio sospeso,
come soprannaturale, rimase,
finché non la turbò un gemito
dal cancello non chiuso
e le urla penetranti e taglienti
di viaggiatori notturni non visti
misti a urla di uccelli.
Le pozzanghere di pioggia argentata
luccicavano, mentre la notte,
passando, si assestava per ristabilirsi
dalla dura violenta prova.
E io guardavo una stella lontana
per sognare
nella tranquillità rinata.
Intanto volava
la fredda umidità
di quella notte di dicembre.

       Prigione di Long Kesh, Irlanda del Nord

                               di Bobby Sands


Bobby Sands era un volontario del Provisional Irish Republican Army, fu arrestato nel 1977 e condotto nei famigerati H blocks nella prigione di Long Kesh. All'interno della struttura i detenuti repubblicani vengono sottoposti a un regime durissimo: soprusi, fame, freddo, torture, umiliazioni. Bobby Sands scrive articoli  e testi di nascosto su cartine per sigarette o su pezzi di carta igienica, i suoi scritti sono fatti uscire dal carcere con numerosi stratagemmi e pubblicati dal giornale repubblicano An Phoblacht-Republican News. Organizza e guida varie proteste contro il sistema carcerario inglese, rivendicando sopratutto lo status di prigioniero politico, ma le richieste dei militanti repubblicani vengono di fatto respinte, perciò i prigionieri indicono un nuovo sciopero della fame. Bobby Sands inizia a rifiutare il cibo il 1 marzo del 1981 e morirà in carcere nelle prime ore del 5 maggio dello stesso anno, all'inizio del suo sessanteseiesimo giorno di sciopero della fame. 

Il testo che propongo qui, in ricordo di quella notte di dicembre non è scritto in forma di poesia, ma ha un suo ritmo speciale intrinsecamente poetico così come di poesia hanno il sapore le parole e le immagini usate da Bobby Sands.




domenica 1 dicembre 2019

come una parola che matura ancora nel silenzio


Rainer Maria Rilke ritratto da Leonid Pasternak


Esordio

Chiunque tu sia: esci la sera
dalla tua stanza ove sai ogni cosa;
ultima prima della lontananza è la tua casa:
chiunque tu sia.
Con i tuoi occhi stanchi che a fatica
si staccano dalla soglia consunta,
sollevi lentamente un albero nero
e lo metti davanti al cielo: snello, solo.
E hai fatto il mondo. E il mondo è grande
e come una parola che matura ancora nel silenzio.
E appena la tua volontà ne intende il senso,
dolcemente lo lasciano i tuoi occhi

   R.M. Rilke, da Il libro delle immagini



Chiunque tu sia ...  esci dalla tua stanza. Cosa è questa stanza se non quel luogo dove pensiamo di conoscere ogni cosa ? Gli oggetti ci sono consueti, persino lo scorrere del tempo segue un percorso familiare, riconoscibile. Abbiamo preso le misure al mondo: ciò che ci circonda parla secondo una grammatica rassicurante. Non fa differenza chi siamo, in questa stanza è così che si vive.
Una soglia consunta separa la casa da un altro spazio, lo spazio della lontananza. La soglia è consunta, ma sembra che uscirne fuori non sia cosa frequente, né agevole, altrimenti gli occhi stanchi non si staccherebbero da essa a fatica. Non è quindi dall'uso continuato che la soglia è consunta. Piuttosto sembrerebbe che chi vi abita abbia spesso indugiato su di essa, soffermandosi incerto su quel confine senza superalo. La stasi paralizzante non l'attraversamento, il soffermarsi invece dell'uscire fuori. 
Frutto del luogo in cui conosciamo il nome di tutte le cose e della casa che si trova ultima sul confine con la lontananza, è la stanchezza: gli occhi sono stanchi di guardare senza trovare il sentiero che conduce oltre. Le parole anche risuonano stanche lì dove sappiamo ogni cosa, perché vengono scovate dentro di sé, radunate da un io che rovista con lo sguardo rivolto a profondità ctonie. 
Come ha notato Amelia Valtolina (che insegna Letteratura Tedesca all’Università degli Studi di Bergamo ed è un'esperta di letteratura e poesia tedesca del Novecento) in questa poesia è rintracciabile un “rinnovato sguardo sulle cose”: «Nel rischio di una visione liberata dall’intralcio dell’io (“Chiunque tu sia”) sorge una parola orfica: l’albero – lo stesso che si eleverà nel primo dei Sonetti a Orfeo».

Un albero si leva – o puro sovrastare!
Come canta Orfeo! – e il grande albero è in ascolto!
E tutto fu silenzio. Ma proprio in quel tacere
avvenne un nuovo inizio, cenno, mutamento.

Orfeo che suona la lira, di Henri Martin
Solo là fuori, nel dirigersi verso la lontananza è possibile l'avvento del mondo di Orfeo, il primo poeta, il fondatore della poesia. Che viene al mondo come espressione diretta di un dono divino, capace di incanto assoluto: alla voce di Orfeo, il cantore, un albero si leva e si pone in ascolto. 

Solo là, nella lontananza, tra le orme dei passi difficili mossi oltre la soglia consunta è possibile il gesto di Orfeo: 

sollevi lentamente un albero nero 
e lo metti davanti al cielo ...

La parola pronunciata dal poeta è creatrice di un mondo grande, il quale ascolta raccolto in un silenzio assoluto e proprio in quel tacere, finalmente ... ecco  un nuovo inizio.