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domenica 1 dicembre 2019

come una parola che matura ancora nel silenzio


Rainer Maria Rilke ritratto da Leonid Pasternak


Esordio

Chiunque tu sia: esci la sera
dalla tua stanza ove sai ogni cosa;
ultima prima della lontananza è la tua casa:
chiunque tu sia.
Con i tuoi occhi stanchi che a fatica
si staccano dalla soglia consunta,
sollevi lentamente un albero nero
e lo metti davanti al cielo: snello, solo.
E hai fatto il mondo. E il mondo è grande
e come una parola che matura ancora nel silenzio.
E appena la tua volontà ne intende il senso,
dolcemente lo lasciano i tuoi occhi

   R.M. Rilke, da Il libro delle immagini



Chiunque tu sia ...  esci dalla tua stanza. Cosa è questa stanza se non quel luogo dove pensiamo di conoscere ogni cosa ? Gli oggetti ci sono consueti, persino lo scorrere del tempo segue un percorso familiare, riconoscibile. Abbiamo preso le misure al mondo: ciò che ci circonda parla secondo una grammatica rassicurante. Non fa differenza chi siamo, in questa stanza è così che si vive.
Una soglia consunta separa la casa da un altro spazio, lo spazio della lontananza. La soglia è consunta, ma sembra che uscirne fuori non sia cosa frequente, né agevole, altrimenti gli occhi stanchi non si staccherebbero da essa a fatica. Non è quindi dall'uso continuato che la soglia è consunta. Piuttosto sembrerebbe che chi vi abita abbia spesso indugiato su di essa, soffermandosi incerto su quel confine senza superalo. La stasi paralizzante non l'attraversamento, il soffermarsi invece dell'uscire fuori. 
Frutto del luogo in cui conosciamo il nome di tutte le cose e della casa che si trova ultima sul confine con la lontananza, è la stanchezza: gli occhi sono stanchi di guardare senza trovare il sentiero che conduce oltre. Le parole anche risuonano stanche lì dove sappiamo ogni cosa, perché vengono scovate dentro di sé, radunate da un io che rovista con lo sguardo rivolto a profondità ctonie. 
Come ha notato Amelia Valtolina (che insegna Letteratura Tedesca all’Università degli Studi di Bergamo ed è un'esperta di letteratura e poesia tedesca del Novecento) in questa poesia è rintracciabile un “rinnovato sguardo sulle cose”: «Nel rischio di una visione liberata dall’intralcio dell’io (“Chiunque tu sia”) sorge una parola orfica: l’albero – lo stesso che si eleverà nel primo dei Sonetti a Orfeo».

Un albero si leva – o puro sovrastare!
Come canta Orfeo! – e il grande albero è in ascolto!
E tutto fu silenzio. Ma proprio in quel tacere
avvenne un nuovo inizio, cenno, mutamento.

Orfeo che suona la lira, di Henri Martin
Solo là fuori, nel dirigersi verso la lontananza è possibile l'avvento del mondo di Orfeo, il primo poeta, il fondatore della poesia. Che viene al mondo come espressione diretta di un dono divino, capace di incanto assoluto: alla voce di Orfeo, il cantore, un albero si leva e si pone in ascolto. 

Solo là, nella lontananza, tra le orme dei passi difficili mossi oltre la soglia consunta è possibile il gesto di Orfeo: 

sollevi lentamente un albero nero 
e lo metti davanti al cielo ...

La parola pronunciata dal poeta è creatrice di un mondo grande, il quale ascolta raccolto in un silenzio assoluto e proprio in quel tacere, finalmente ... ecco  un nuovo inizio.


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