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martedì 26 maggio 2020

perché è in volo che arriva il senso


                                    

Mappa per l'ascolto

Dunque, per ascoltare
avvicina l'orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro, 
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.

Accosta all'orecchio il vuoto
fecondo della mano, 
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.

Per ascoltare bisogna aver fame
a anche sete,
sete che sia tutt'uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo, 
non è mai lo stesso dell'andata.

Dunque abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all'infinito,
abisso del senso.

   di Chandra Livia Candiani, da La bambina pugile ovvero La precisione dell'amore



Ascoltare è come viaggiare in una terra incognita. Già. C'è bisogno di una mappa, di un portolano preciso, o meglio, il più preciso che sia possibile. Forse per questo ascoltare ci riesce così difficile.
Eppure, come vorremmo ascoltare di nuovo quella nota lesta nello sfuggire / ogni via domestica del senso. 
Scruto bene questa carta nautica oggi, lo vedo quel punto dove sullo scoglio aspro si infrange la corrente: vuoto con vuoto. C'è bisogno di fare vuoto in sé per ascoltare? C'è bisogno di vuotare ciò che è troppo pieno: aspettative, attaccamento, pretese... no che la nota non può raggiungere così.
E' questo che vuoi dirmi antica mappa? Ripiegare i pensieri ! Sono un ostacolo, una trappola, un falso indizio che smarrisce. Sono il dominio ben guardato di ogni via domestica del senso.

Per ascoltare bisogna aver fame. Quanti naufragi di vite per aver dimenticato questo avvertimento, amica mappa. Li vedo tracciati sulla tua pergamena: sprazzi di gomene, brandelli di alberi, vele strappate. Bisogna aver fame e fame - fai bene tu a ricordarmelo - è avere in tasca briciole per chiamare i voli ...

perché è in volo che arriva il senso.




venerdì 22 maggio 2020

dove il Re vive aspettando




Le isole fortunate

Quale voce viene sul suono delle onde
che non sia la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che se ascoltiamo tace,
proprio per esserci messi ad ascoltare.

E solo se mezzo addormentati,
udiamo senza sapere che udiamo,
essa ci parla della speranza
verso la quale, come un bambino
che dorme, dormendo sorridiamo.

Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re vive aspettando.
Ma, se vi andiamo destando
tace la voce e solo c'è il mare.


                da “Poesie scelte” Fernando Pessoa, Passigli Editori, traduzione di Luigi Panarese             

martedì 19 maggio 2020

perché entri luce




Adesso che non so più niente
che il vuoto è bella dimora
che ho passi senza arsura
che siedo e imparo
a esitare, adesso
che non sei più al centro
e quello che conta non è più
al centro
ma spostato
tra le mani
dove le dita si disarmano
e fanno un gesto limato,
adesso questa categorica bellezza
di rami e cieli
pugnala solo
perché entri luce.



          di Chandra Livia Candiani, da "La bambina pugile", Einaudi Editore


Mi racconti di come hai conosciuto questa poetessa e prima ancora di capire quello che mi dici, è il suono delle tue parole a colpirmi: non sono forse le esitazioni nella voce, la sospensione su una sillaba, il tono che si alza o si abbassa a dire le nostre imperfette verità ?

mercoledì 13 maggio 2020

senza scampo sorridenti



Andrew Wyeth, "In the Doorway"


Un incontro inatteso


Siamo molto cortesi l’uno con l’altro,
diciamo che è bello incontrarsi dopo anni.
Le nostre tigri bevono latte.
I nostri sparvieri vanno a piedi.
I nostri squali affogano nell’acqua.
I nostri lupi sbadigliano alla gabbia aperta.

Le nostre vipere si sono scrollate di dosso i lampi,
le scimmie gli slanci, i pavoni le penne.
I pipistrelli già da tanto sono volati via dai nostri capelli.

Ci fermiamo a metà della frase,
senza scampo sorridenti.
La nostra gente
non sa parlarsi




Wisława Szymborska , La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009): Adelphi, 2009


Cosa ha legato insieme i destini dei protagonisti di questo incontro inatteso ? Una storia d'amore improvvisa e incandescente, un'amicizia intensa e piena di passioni comuni? Non lo sappiamo e, in effetti, poco importa. Wisława Szymborska ci regala in questa sua straordinaria poesia l'espressione estetica di un momento preciso: un incontro inatteso appunto, dopo che anni sono trascorsi da quando il filo di quel legame si è spezzato.

E' così che vanno le cose. C'era un'energia indomabile, inesausta, un 
         
"divampante fulgore
  nelle foreste della notte"

come dice William Blake. 

E ora le nostre tigri, la mia e la tua ... bevono latte. Si innalzavano nelle correnti dell'aria come sparvieri sfidando tempeste, luoghi comuni, perbenismo e ora ... quegli sparvieri camminano a piedi, guardando le cose dal basso, come tutti. Misuravano come squali gli oceani con la propria forza, predatori mai sazi di abissi e oceani ... ora affogano in una pozza d'acqua.
E come lupi preferivano la fatica della libertà alla gabbia delle facili sicurezze e delle opinioni ragionevoli, ora ... ora quei lupi sbadigliano di fronte ad una gabbia aperta. Dimentichi dell'ebbrezza delle vette e del profumo dei boschi.

E' così che vanno le cose.

... senza scampo sorridenti

cortesi, ci fermiamo a metà della frase, educati, senza scampo sorridenti...

sabato 9 maggio 2020

Haiku n.7






Silenzio:

penetra la roccia

il canto delle cicale 


di Matsuo Bashō

Secondo Bashō, “assecondare i movimenti del cosmo” ed “essere amico delle quattro stagioni” significa immergersi nella bellezza della natura disponendo rettamente il proprio cuore: «Portato il proprio cuore in alto, alla più elevata comprensione bisogna tornarsene nel mondo».

Per entrare nel respiro di questo haiku bisogna probabilmente ricorrere ad uno dei termini fondamentali dell'estetica giapponese quello di fūryū una parola che ha un'origine antica ed un campo di applicazione molto ampio.  Tra i diversi significati della parola, dobbiamo ricorrere ad uno in particolare, fortemente influenzato dallo Zen: esso deriva dai due caratteri che formano la parola, 風流, " vento" e "che scorre"  

Così come il vento che soffia, che passa, possiamo solo avvertire fūryū   non vederlo. Lo sentiamo scorrere, ma non lo possiamo afferrare, né vedere.  Tuttavia fūryū è-  allo stesso tempo - qualcosa di cui possiamo accorgerci, anche se è inafferrabile. Ancor di più, proprio come il vento, fūryū  ci dischiude in un mondo di bellezza transitoria senza parole, di cui si può fare esperienza solo nell'istante: subito dopo è perduto per sempre. 

giovedì 7 maggio 2020

C'è già tanto male nel grido del vento







RIMPROVERA IL CHIURLO


O chiurlo, non gridare più nell'aria,
Né soltanto alle acque di Ponente:
Perché il tuo grido mi reca alla mente
Occhi velati di passione e lunghi;
Folti capelli sparsi sul mio petto:
C'è già tanto male nel grido del vento.

di William Butler Yeats ( da "The wind among the reeds")



lunedì 4 maggio 2020

Io la so la scienza dei commiati


Dante Gabriel Rossetti, Studio per Delia

TRISTIA

Io so la scienza dei commiati, appresa
fra lamenti notturni e chiome sciolte.
Stan ruminando i buoi, dura l’attesa:
ultim’ora di veglia delle scolte
cittadine; e mi piego al rito della notte
dei galli, quando – in spalla il carico di strazio
del viaggio – guardavano lontano umidi occhi,
e pianto di donne al canto si univa delle muse.

Chi, alla parola «commiato», sa quale
distacco giungerà per noi fra poco,
che cosa presagisce lo strepito dei galli
mentre la fiamma arde sull’acropoli,
e perché all’alba di una vita nuova,
mentre il bue rumina pigro nell’andito,
il gallo, araldo della vita nuova,
sulla cinta muraria sbatte le ali?

E amo il filato, amo la tessitura:
il fuso ronza, va su e giú la spola.
Guarda: scalza, leggera come fosse peluria
di cigno, Delia già incontro ti vola.
O gramo ordito del vivere nostro,
che povera è la lingua della gioia!
Tutto fu in altri tempi, tutto sarà di nuovo;
solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.

Ma cosí sia: giace in un lindo piatto
d’argilla una traslucida figura,
come una pelle stesa di scoiattolo,
e a scrutare la cera una ragazza è curva.
Non sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:
la cera è per le donne ciò ch’è il bronzo per l’uomo.
Noi sfidiamo la sorte dei guerrieri;
destino è ch’esse traendo auspici muoiano.

 di Osip  Mandel’štam, 1918 (da "Ottanta poesie", Einaudi editore, traduzione di Remo Faccani)


Tristia è la lirica che dà il nome alla seconda raccolta di versi di Mandel´štam. Fin dal titolo rimanda all'opera di Ovidio, scritta durante l'esilio a Tomi sul Mar Nero, dove il poeta latino era stato relegato da un decreto di Augusto.  
Lo stesso Ovidio è l'eroe lirico della poesia qui presentata: è l'ultima sua notte a Roma. Il tempo scorre lentamente, si carica di fatica, come il ruminare dei buoi, sulle spalle è già pronto il fardello della sacca, il carico di strazio; è l'ultima guardia, le sentinelle stanche forse già attendono la fine del loro travaglio. Un pianto di donne si unisce al canto delle muse, il rumore delle ali di un gallo sulle mura, il fuoco arde sull'acropoli. Ma chi conosce il senso di questi segni che annunciano la vita nuova  che attende?

Ecco una donna che, scalza e leggera, corre incontro al suo amato, porta il nome di Delia (la donna cantata nei carmi di Tibullo), un istante solo lungo l'ordito della vita: che povera è la lingua della gioia!  Già... quanto sono inadatte le parole a raccontarla.

Il tempo del commiato è trascorso, le donne proveranno a trarre auspici sul futuro, su pelli di scoiattolo e la cera fusa che si rapprende sull'acqua, il fuso riprende a filare, sola resta la strada...

Noi sfidiamo la sorte dei guerrieri