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martedì 12 novembre 2019

Non vi rincresca il nome di fratelli



La gloria di colui che tutto move 
per l’universo penetra, e risplende 
in una parte più e meno altrove.  

E' la terzina con cui comincia la cantica del Paradiso, non una terzina qualunque in effetti, ma quella con cui Dante apre  il racconto dell'ultima e più importante tappa del suo viaggio tra i tre regni. Eppure se consultate i libri di scuola o le spiegazioni più usuali troverete qualcosa di simile a questo:

"La potenza di Dio (colui che muove tutte le cose)
si diffonde in tutto l'Universo, e splende
più in alcune parti e meno in altre"

Il senso sarebbe dunque che l'onnipotenza di Dio raggiunge tutto l'Universo e ogni cosa a lui deve obbedienza. Gloria in questa prospettiva è pertanto sinonimo di dominio. E' una spiegazione tuttavia che non mi convince. 

Il termine gloria infatti, in ebraico kāḇôḏ e nel linguaggio biblico, ha due significati molto diversi se associato a realtà materiali, terrene e laiche o associato a Dio. In quest'ultimo caso “Gloria” indica la sintesi, la somma di tutti gli attributi di Dio, quindi la Sua perfezione, lo splendore e la luminosità che è inseparabilmente collegata con tutte le virtù di Dio e con la sua auto-rivelazione. Dunque gloria è il carattere peculiare di Dio, la bellezza, ciò che è eccellente, straordinario. La gloria di Dio comunica ciò che Dio è. La Sua natura intrinseca e la Sua essenza. 

Se così stanno le cose, la terzina ha un senso molto più profondo e drammatico.

Perché se è vero che non c'è luogo dell'Universo che  non sia abitato da una scintilla di luce, se persino nelle profondità degli abissi di ciò che l'uomo ha potuto compiere vive la Sua bellezza ... tutto cambia.

Ma è davvero così?

Davvero l''impronta dell'essenza di Dio penetra nelle profondità di ogni esperienza dell'umano? Anche nell'acido dove il mafioso ha sciolto un bambino ? Nello sputo rancido del razzista ? Nel letto d'ospedale in cui un bambino malato è stato abbandonato dai genitori? Perché o ciò che Dante ha scritto è vero fino in fondo oppure è solo una bella frase consolatoria e dolciastra, qualcosa di più di un bigliettino in un biscotto della fortuna...

Mi fido di Dante.

Fëdor Dostoevskij
Così come non c'è luogo sulla terra in cui non si nasconda l'impronta della Sua luce non c'è uomo che io non sarei potuto diventare e nel mio sangue c'è lo stesso sangue di tutti gli aguzzini del mondo. Come dice lo starec Zosima, parlando ai suoi confratelli, ne I fratelli Karamazov :

Noi non siamo più santi degli uomini che abitano il mondo solo perché siamo venuti qui e ci siamo chiusi tra queste mura; al contrario, chiunque è venuto qui, fosse solo per questo fatto, ha riconosciuto di essere peggiore di ogni laico, di tutti e di tutto sulla terra… E quanto più un monaco vivrà tra le sue mura, tanto più a fondo dovrà esserne cosciente. Perché se così non fosse, sarebbe venuto qui invano. Quando poi comprenderà di essere non solo peggiore di ogni laico, ma anche colpevole di ogni cosa di fronte a tutti gli uomini, di ogni peccato umano, universale e individuale, solo allora sarà raggiunto il fine di questo nostro ascetismo. Sappiate infatti, miei cari, che noi tutti siamo indubitabilmente colpevoli di ogni cosa su questa terra, non solo a causa della colpa universale che ci accomuna: ciascuno di noi assume su di sé le colpe di tutti gli uomini e di ogni individuo che vive sulla terra. 

Secondo Eraldo Affinati  «Dostoevskij ci fa capire che il caos non è fuori di noi: appare piuttosto celato dentro la personalità di ognuno. Al termine dei suoi romanzi spunta spesso una vocina misteriosa che fa così: stai attento, questo potrebbe capitare anche a te. Nessuno può dire: io non c’entro. Quando un uomo commette un delitto, piccolo o grave, si accende una luce rossa intermittente che non riguarda soltanto lui» (E. Affinati,  Il peso dell’altro ne I fratelli Karamazov).

Oggi tuttavia sempre più fa sentire la sua voce un altro tipo umano, qualcuno lo ha chiamato l'intransigente del bene. E' l''uomo morale, sicuro di trovarsi al di là del confine tra il giusto e l'ingiusto, l'uomo che punta il dito per accusare e addita il male da lontano, con un certo imbarazzo.

Gli integralisti del bene si sarebbero certo tenuti alla larga da tipi come François Villon, che attorno al 1462 scriveva il suo testo più famoso, La ballata degli impiccati, che qui presento nella traduzione di Antonio Garibaldi per i tipi di Einaudi:

Fratelli umani, che ancora vivete,
Non siate duri di cuore con noi!
Se di noi miseri avrete pietà,
Più presto l'avrà Dio anche di voi.
Qui ci vedete in cinque o in sei appesi:
La nostra carne anche troppo nutrita
Da un pezzo è divorata e imputridita,
cenere noi, le ossa, siamo  e polvere.
Del nostro male non rida nessuno,
Ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

 Non vi rincresca il nome di fratelli, 
Che, benché giustiziati, noi vi diamo...
Sapete bene, tuttavia, che a posto
Non hanno tutti gli uomini la testa.
Per noi, che siamo morti, intercedete
Col  figlio della Vergine Maria !
La sua grazia per noi non sia estinta,
E ci salvi dai fulmini infernali.
Noi siamo morti, non ci sbeffeggiate,,
Ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

La pioggia ci ha lavati e ripuliti,
E il sole ci ha seccati ed anneriti;
Gazze e cornacchie ci han cavato gli occhi ,
E strappato la barba e i sopraccigli.
Non stiamo fermi mai, neanche un attimo,
Di qui, di là, il vento appena varia,
Ci fa a suo piacere dondolare,
Resi come ditali dagli uccelli.
Non siate della nostra compagnia,
Ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

O Gesù, che su tutti hai signoria,
Salva l'anima nostra dall’Inferno,
Con cui niente vogliamo da spartire.
Qui non c'è niente da scherzare, Umani;

Ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

C'è un verso in questa ballata degli impiccati che negli anni mi è continuato a risuonare dentro ed è quando la voce dei condannati dice: non vi rincresca il nome di fratelli. Lo sanno che sono dei tagliagole, dondolano insieme, puttane, truffatori e ladri, per questo dice, non dispiacetevi se vi chiamiamo fratelli. Sì lo sappiamo che non siete come noi, non diamo la colpa a nessuno per i becchi degli uccelli che ci tormentano, per il sole che ci ha seccati, per il vento che di qui e di là ci scuote. Abbiamo avuto quello che ci meritavamo, ma non tutti hanno la testa a posto... Badate bene, non siate della nostra compagnia ...

Io non riderò di voi, non punterò il dito, quel che siete avrei potuto essere io.

homo sum, humani nihil a me alienum puto



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