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domenica 19 gennaio 2020

ama e non si rende conto d'amare


Guido Reni Atalanta ed Ippomene

Il mito di Atalanta è molto antico, compare già in un frammento di Esiodo, Omero poi conosceva il racconto della caccia di Calidonia e della triste fine di Meleagro, in cui la bella cacciatrice - ma questo Omero preferisce tacerlo - ebbe un ruolo fondamentale. La storia di Atalanta, è ripresa infine da Ovidio nel decimo libro delle Metamorfosi; per bocca della stessa Venere veniamo a sapere del modo in cui finalmente la giovane figlia di Scheneo giunse alle nozze e all'amore. 

Atalanta rifiuta il matrimonio, le sta stretto il ruolo di moglie, piuttosto che allevare figli preferisce vagare per monti e selve armata di arco e frecce. La sua bellezza però attirava pretendenti da tutta la Grecia. Ad essi imponeva una dura condizione: una corsa avrebbe deciso il loro destino, le nozze per chi l'avesse vinta, la morte per chi risultasse sconfitto. Al luogo della gara era giunto anche il giovane e bellissimo Ippomene, che vinto dal desiderio per la bella cacciatrice decide di accettare la sfida. Atalanta sa che il giovane non ha alcuna speranza e per la prima volta prova un sentimento a cui non sa dare nome ...

Ippomene tuttavia riuscirà vittorioso, grazie ad alcune mele d'oro, avute in dono da Afrodite, dalle quali emanava un fascino irresistibile e che decideranno la gara. E' proprio questa la scena raffigurata da Guido Reni nel quadro esposto al Museo Nazionale di Capodimonte.

Lasciamo la parola ora ad Ovidio

Mentre parla, la figlia di Scheneo lo guarda illanguidita
e più non sa cosa preferire, se vincere o essere vinta.
E pensa: 'Quale dio, nemico della bellezza, vuol perdere
 costui, spingendolo a chiedere la mia mano, a rischio
della sua vita preziosa? Non penso di valere tanto!
E non è la sua bellezza a toccarmi (anche se toccarmi potrebbe),
ma il fatto che è ancora un ragazzo. Non mi turba lui, ma l'età sua.
Ma poi, è tanto prode da non tremare al pensiero della morte?
è veramente il quarto nella discendenza dal nume del mare?
e ancora, mi ama e brama di sposarmi sino al punto
di morire, se una sorte crudele dovesse negarmi a lui?
Vattene, straniero, finché puoi; rinuncia a queste nozze di sangue.
Matrimonio crudele è il mio. Nessuna rifiuterà di sposarti,
troverai sicuramente una fanciulla saggia che ti desideri.
Ma perché per te mi angoscio, dopo averne mandati a morte tanti?
Vedrà lui! Che muoia dunque, se la strage di tanti pretendenti
non gli è servita di lezione e in tale disgusto tiene la vita.
Ma allora morirà, perché con me voleva vivere,
e sconterà con una morte ingiusta la colpa d'avermi amato?
La mia vittoria non sarà certo tale da suscitare invidia.
Ma non è colpa mia. Avessi tu almeno il senno di rinunciare!
o, visto che non ragioni più, fossi almeno più veloce!
Oh, che sguardo virgineo in quel suo viso di fanciullo!
Povero Ippòmene, come vorrei che tu non m'avessi mai visto!
Meritavi di vivere; e se più fortunata io fossi,
se un destino inesorabile non m'impedisse le nozze,
tu eri l'unico, che avrei voluto avere accanto nel mio letto'.
Così ragiona, e inesperta com'è, toccata dal suo primo amore,
non sapendo che cosa sia, ama e non si rende conto d'amare.

I versi di Ovidio ci mostrano i momenti precedenti l'inizio della gara e si concentrano sull'interiorità della bionda cacciatrice. Il suo animo è per la prima volta incerto, non sa cosa sia meglio, non sa cosa lei vuole davvero. Vincere o essere vinta ed amare? Sembra quasi che smarrisca il senso stesso della sua identità quando si chiede se davvero vale così tanto. Tutto il discorso di Atalanta è scandito da un incessante sequenza di ma e di antitesi, da un alternarsi di decisioni e di ripensamenti, di speranze - rinuncia a queste nozze di sangue - e rassegnazione - Povero Ippòmene [...] Meritavi di vivere. Nel turbamento dell'animo risuonano i congiuntivi dell'impossibilità: Avessi tu almeno il senno di rinunciare! o ancora, fossi almeno più veloce! Fino al verso più bello, perché in fondo sappiamo tutti che non è vero quel che la mente della bella Atalanta va ripetendosi: vorrei che tu non m'avessi mai visto! 

Nel racconto di Ovidio l'amore è prima di tutto un mutamento del senso della vista. Quello che abbiamo sempre veduto in un certo modo ora diviene altro: il contendente da sconfiggere ora diventa un giovane che merita di vivere, il ruolo che si crede di aver scelto una sorte crudele, un destino inesorabile. Tale visione ha come effetto quello di mutare non di meno il soggetto che osserva il mondo attorno a sé. Egli non sa più con certezza chi è, Ma perché per te mi angoscio, dopo averne mandati a morte tanti? La bionda guerriera, "un'Artemide alla sedicesima" - come alcuni l'hanno definita - non può smettere di porsi domande alle quali non aveva mai pensato prima. Non è più la stessa, quasi contro la sua volontà e prima ancora di cogliere le mele d'oro che l'astuto Ippomene getterà sul suo cammino, non sapendo che cosa sia, ama e non si rende conto d'amare.


Il poeta persiano Jalal ad-din Rumi, detto il Moulana (il Maestro) nato nel 1207, mi sembra esprimere al meglio tale forza dell'amore in questi versi tratti dal suo canzoniere, il Divan:

Tu mi domandi, "A chi appartieni?" "Che cosa ne so, io?"
Mi chiedi: "Perché sei così pazzo?" "Che cosa ne so, io?"
Mi domandi:"Come puoi, così vecchio e malfermo,
aspirare al mio amore?" "Che cosa ne so, io?"
Sono sbattuto tra le onde dell'oceano del tuo amore.
Mi domandi:"Dove sei?" "Che cosa ne so, io?"
Mi domandi:" Ma perché sei in questa gabbia,
se sei un uccello dell'aria? " Che cosa ne so, io?
Camminavo sulla buona via, ma mi smarrii
a causa di quel Turco del Katai . Che cosa ne so, io?
E ora non distinguo sventura da piacere.
Tu sei il culmine nella gioiosa avversità. Che cosa ne so, io?


L'esperienza dell'amore non è solo lo sconvolgimento di cui i poeti hanno cantato, ma uno sguardo che non osserva più il mondo nello stesso modo, una temperatura della luce che sfida le leggi della fisica e del tempo ... il congiuntivo dell'impossibilità che custodisce da sempre il respiro degli amanti.

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