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mercoledì 2 ottobre 2019

Tu m’hai di servo tratto a libertate


Roma, un venerdì sera da Feltrinelli. Io e Gabriele, un collega di Filosofia presentiamo il libro che Edoardo ha da poco pubblicato su Dante Alghieri. Edoardo è stato un nostro allievo, bravissimo, in tutte le materie; ora studia Fisica all'Università, Dante è il suo poeta preferito.
Al momento delle domande dal pubblico si alza Luca - un suo compagno - e fa ad Edoardo una domanda su una delle questioni centrali della Commedia, la libertà. Cos'è la libertà per Dante? e cosa è per te? Edoardo risponde, cita dei versi, coinvolge il pubblico. Poi la bellissima serata finisce, torniamo a casa, ma un'immagine mi torna in mente. Va, viene, scompare e ritorna ...

Siamo nel 1933 nella Russia di Stalin, un poeta Osip Mandel'stam recita una poesia che ha da poco composto.  E' questa qui:

Noi viviamo senza avvertire sotto di noi il paese,
i nostri discorsi non si sentono a dieci passi di distanza, 
ma dove c’è soltanto una mezza conversazione
ci si ricorda del montanaro del Cremlino.
Le sue grosse dita sono grasse come vermi
e le sue parole sicure come fili a piombo.
Ridono i suoi baffi da scarafaggio,
e brillano i suoi gambali.
Intorno a lui c’è una masnada di ducetti dal collo sottile
e lui si diletta dei servigi dei semiuomini.
Chi fischietta, chi miagola, chi piagnucola
se soltanto lui ciarla o punta il dito.
Come ferri da cavallo egli forgia un ukaz dietro l’altro,     
a uno l’appioppa nell’inguine, a uno sulla fronte,                                
a chi sul sopracciglio, a chi nell’occhio.
Non c’è esecuzione che non sia per lui una cuccagna...

                                                  (un "ukaz" è un proclama dello zar o di un patriarca che ha validità di legge)

Non si sa chi fu la spia ma nella notte tra il 13 e il 14 maggio 1934 due agenti della polizia sovietica si presentano in casa di Mandel'stam a Mosca, perquisiscono la casa, sequestrando grandi quantità di manoscritti.

Osip viene arrestato.

I poliziotti lo conducono alla Lubianka, con sé porta via soltanto una copia della Divina Commedia.  Mandel'stam è condannato al confino: tre anni a Cherdyn, una remota località degli Urali, lungo il fiume Kolva, alle porte della Siberia. Non sarà quella l'ultima volta che il poeta conoscerà la prigione; nel 1938 viene nuovamente arrestato e condannato ai lavori forzati. Questa volta viene trasferito all’estremo oriente della Siberia dove muore a fine dicembre nel gulag di Vtoraja rečka. 

Mi piace immaginarlo così, scortato da due sgherri, sottobraccio e nel cuore la Commedia... E mi piace immaginare che nei suoi ultimi disperati momenti questi versi siano scesi a consolarlo: 

... i versi della libertà che nessuno potrà mai togliere all'uomo ... l'ultimo sorriso di Beatrice

Beatrice e Dante salgono al quinto cielo, Gustav Doré
O donna in cui la mia speranza vige, 
e che soffristi per la mia salute 
in inferno lasciar le tue vestige,                                       
di tante cose quant’i’ ho vedute, 
dal tuo podere e da la tua bontate 
riconosco la grazia e la virtute.                                        
Tu m’hai di servo tratto a libertate 
per tutte quelle vie, per tutt’i modi 
che di ciò fare avei la potestate.                                      
La tua magnificenza in me custodi, 
sì che l’anima mia, che fatt’hai sana, 
piacente a te dal corpo si disnodi».                               
Così orai; e quella, sì lontana 
come parea, sorrise e riguardommi; 
poi si tornò a l’etterna fontana.   

1 commento:

  1. I momenti più potenti in cui ci si ricorda della Divina Commedia non sono quelli di felicità. Eppure questa è la cosa più tremendamente bella del Poema. Ci si ricorda del viaggio di Dante quando si piange e quando si è sconfitti. Quando tutto è pèrso, come nel caso di Osip Mandel'stam. Ma non è questo l'obiettivo di ogni alta letteratura? Mettere l'uomo in contatto con l'irraffigurabile, con ciò che sembra non potersi esprimere a parole. In questo caso l'esperienza della perdita di senso del mondo che si poteva sperimentare al confinio, in un campo di lavori forzati, o in un campo di concentramento, penso al racconto di Primo Levi del Canto XXVI al suo amico polacco.
    Io mi immagino Dante chino e dolorante scrivere in una stanza di un palazzo di qualche signore italiano, me lo immagino scrivere triste nel volto:
    La gloria di colui che tutto move
    per l'universo penetra e risplende
    in una parte più e meno altrove.

    La grande promessa che l'amore muove il mondo anche quando non ci sembra di vederlo. Lontano dalla propria città e dalla propria casa, al poeta russo sembrò abbastanza quell'unico libro in cui si insegna che ci si può salvare quando si sta sospesi nello sconforto di non riuscire a vedere una luce:
    Io era tra color che son sospesi,
    e donna mi chiamò beata e bella,
    tal che di comandare io la richiesi

    E si diventa liberi, da servi tratti a libertade. Solo grazie a Beatrice, solo con lo sforzo "sì del cammin sì de la pietade" di rivedere l'esistenza di Beatrice nel mondo.

    Edoardo Mariani

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