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domenica 6 ottobre 2019

fabbricherò nella notte i miei palazzi stregati


Paesaggio


Boulevard des Capucines in Paris - Claude Monet



Voglio, per comporre castamente le mie egloghe,
dormire accanto al cielo, come fanno gli astrologhi;
e vicino ai campanili, ascoltare sognando 
i loro inni solenni portati via dal vento. 
Le mani sotto il vento, dall'alto della mia mansarda, 
vedrò l'officina che canta e che chiacchiera,
i comignoli, i campanili, alberi maestri della città,
e i grandi cieli che fanno sognare l'eterno.

E' dolce veder nascere tra le brume 
la stella nell'azzurro, la lampada alla finestra,
i fiumi di carbone che salgono al firmamento
e la luna che versa il suo pallido incanto.
Vedrò passare primavere, estati, autunni; 
e quando arriverà l'inverno con le sue nevi monotone,
serrerò porte  e finestre,
fabbricherò nella notte i miei palazzi stregati.
Sognerò allora orizzonti azzurrini, 
giardini, zampilli d'acqua riversanti il loro pianto negli alabastri,
baci, uccelli cantanti sera e mattino,
e quanto di più infantile l'Idillio può possedere.
Tempestando vanamente al mio vetro
la Rivolta non riuscirà a farmi alzare la fronte dal leggìo,
perché sarò tutto nel piacere d'evocare la Primavera, 
di far nascere un sole dal mio cuore e di trasformare
i miei pensieri ardenti in una tiepida atmosfera.


                                                                di Charles  Baudelaire


La poesia  La città di Costantino Kavafis e questa di oggi di Charles Baudelaire parlano del posto dove molti di noi vivono, lavorano, dal quale a volte desiderano scappare, dove ritornano, dove cercano di nascondersi, spesso sognando orizzonti azzurrini...

La città moderna non è solo uno spazio delimitato da un particolare paesaggio, come quello che Baudelaire ci fa vedere. La città è qualcosa di più, è una condizione dello spirito.
Colpisce che i poeti abbiano colto questa cesura fondamentale della storia dello spirito umano prima di tutti, prima ad esempio che Georg Simmel, uno dei padri della sociologia, scrivesse - nel 1903 - uno degli studi più lucidi di quel periodo, La metropoli e la vita dello spirito. 

Nella poesia di Kavafis  un uomo dichiara apertamente la propria condizione di desolazione:
... E qua
giace sepolto, come un morto, il cuore.

La sua vita non è altro che macerie nere, quella vita che negli anni trascorsi ha saputo solo perdere e schiantare.

Nella lirica di Baudelaire tutto è visto come da lontano, da un luogo che si vorrebbe distaccato, sottratto alla sventura e alla monotonia. Il canto dei campanili è sognato, ed è portato via dal vento.
L'officina, i comignoli, i campanili, alberi maestri della città, / e i grandi cieli che fanno sognare l'eterno sono visti dall'alto di una mansarda, i grandi cieli fanno sognare l'eterno, ma è appunto un sogno, desiderato e rimpianto dall'uomo, un sogno che rende la propria condizione più infelice.

Il protagonista della lirica di Kavafis vorrebbe scappare, ma la sua è una fuga destinata al fallimento:

Né terre nuove troverai, né nuovi mari.
Ti verrà dietro la città... 

L'uomo che ci parla nella poesia di Baudelaire prova a chiudersi nella sua casa, serrerò porte  e finestre, la vita è fuori dalla finestra e solo nel sogno, nell'immaginazione, può trovare riscatto:

fabbricherò nella notte i miei palazzi stregati.
Sognerò allora orizzonti azzurrini, 
giardini, zampilli d'acqua riversanti il loro pianto negli alabastri,
baci, uccelli cantanti sera e mattino ...


Une rue de Paris en mai 1871, Maximilien Luce
Persino alla Rivolta che pur tempesta di colpi il vetro della sua finestra il poeta non vuole dare udienza. L'unica rivoluzione possibile non è quella che scuote le strade con il suo tumulto e insanguina i boulevard della metropoli; può avvenire nel suo animo:

far nascere un sole dal mio cuore ...














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