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martedì 11 giugno 2019

... questo vento agita anche me


… questo vento agita anche me
            
      Abbiamo esperienza del vento. La mutevolezza è la sua natura: ora soffia forte e rabbioso, ora gentile e benevolo. Gonfia le vele in mare aperto, tende le corde e la barca scricchiola sotto la sua forza, urla tra le vette, spazza le nuvole o le raccoglie minacciose. Muove le onde fino a suscitare tempeste o rallegra l’ombra sotto gli alberi di una divina foresta. Il vento è immagine di ciò che cambia, senza posa, senza direzione sicura. Nessuno sa di dove viene né dove va, come lo Spirito sceglie da sé i suoi sentieri imperscrutabili all’uomo.
Nella poesia di Wallace Stevens il carattere mutevole del vento è associato al sentimento dell’umano: i pensieri di un’anziana che ancora pensa intensamente, disperatamente; il vento cambia come un’umana senza illusioni, ed anche  come umani che s’avvicinano orgogliosi, come umani che s’avvicinano rabbiosi. La chiusura della poesia è ancora nel segno negativo di un’assenza; il vento cambia come un umano, pesante, pesante, cui non importa niente.
Disperazione, perdita delle illusioni, orgoglio e rabbia, indifferenza infine e insieme consapevolezza della fatica del vivere. Sono questi i tratti che il poeta americano associa al cambiare del vento;  se tale qualità è resa attraverso l’uso insistito dell’anafora, che si ripete uguale, con poche variazioni, la vita dell'uomo è segnata dal tramontare di ogni illusione: non siamo il centro del mondo. Anzi, il vento cambia, ma l’uomo non può che rendere quel movimento continuo e incompreso in modo molto limitato,  dato che un abisso intercorre tra l'esperienza intellettuale e l'esperienza sensibile. Al continuo, perenne mutare del vento, alla povertà con cui il linguaggio umano riesce a comprenderlo e quindi a farlo davvero esistere, corrispondono espressioni della vita molto diverse tra loro, eppure accomunate dalla stessa tensione insopprimibile.
Come spesso accade nelle poesie di Stevens, il punto di vista che egli sceglie è nel disincanto che nasce dalla percezione della realtà: un vano mutare tra un pensiero ostinato e disperato e una disillusa sfiducia. Solo a partire da questa consapevolezza l’uomo attraverso la poesia può spingere il proprio sguardo verso quelle che un altro grande poeta americano ha chiamato le "schegge del divino":
non cerchiamo
null’altro che la realtà. Dentro essa,
tutto, comprese le alchimie dello spirito,
compreso lo spirito che aggira
e attraversa, non solo il visibile,
il solido, ma il mobile, il momento,
l’avvicendarsi delle feste e i costumi dei santi,
l’ordito dei cieli e l’alta aria notturna

(da An Ordinary Evening in New Haven)

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