… questo vento agita
anche me
Abbiamo esperienza del
vento. La mutevolezza è la sua natura: ora soffia forte e rabbioso, ora gentile
e benevolo. Gonfia le vele in mare aperto, tende le corde e la barca
scricchiola sotto la sua forza, urla tra le vette, spazza le nuvole o le raccoglie
minacciose. Muove le onde fino a suscitare tempeste o rallegra l’ombra sotto
gli alberi di una divina foresta. Il
vento è immagine di ciò che cambia, senza posa, senza direzione sicura. Nessuno
sa di dove viene né dove va, come lo Spirito sceglie da sé i suoi sentieri imperscrutabili
all’uomo.
Nella poesia di Wallace Stevens il carattere mutevole del vento è
associato al sentimento dell’umano: i pensieri di un’anziana che ancora pensa intensamente,
disperatamente; il vento cambia come
un’umana senza illusioni, ed anche come umani che s’avvicinano orgogliosi, come umani che s’avvicinano rabbiosi. La
chiusura della poesia è ancora nel segno negativo di un’assenza; il vento
cambia come un umano, pesante, pesante, cui
non importa niente.
Disperazione, perdita delle illusioni, orgoglio e rabbia, indifferenza
infine e insieme consapevolezza della fatica del vivere. Sono questi i tratti
che il poeta americano associa al cambiare del vento; se tale qualità è resa attraverso
l’uso insistito dell’anafora, che si ripete uguale, con poche variazioni, la vita dell'uomo è segnata dal tramontare di ogni illusione: non siamo il centro del mondo. Anzi, il
vento cambia, ma l’uomo non può che rendere quel movimento continuo e incompreso in modo molto
limitato, dato che un abisso intercorre
tra l'esperienza intellettuale e l'esperienza sensibile. Al continuo, perenne
mutare del vento, alla povertà con cui il linguaggio umano riesce a comprenderlo
e quindi a farlo davvero esistere, corrispondono espressioni della vita molto
diverse tra loro, eppure accomunate dalla stessa tensione insopprimibile.
Come spesso accade nelle poesie di Stevens, il punto di vista
che egli sceglie è nel disincanto che nasce dalla percezione della realtà: un
vano mutare tra un pensiero ostinato e disperato e una disillusa sfiducia.
Solo a partire da questa consapevolezza l’uomo attraverso la poesia può
spingere il proprio sguardo verso quelle che un altro grande poeta americano ha chiamato le "schegge del divino":
non cerchiamo
null’altro
che la realtà. Dentro essa,
tutto, comprese
le alchimie dello spirito,
compreso lo
spirito che aggira
e attraversa,
non solo il visibile,
il solido, ma
il mobile, il momento,
l’avvicendarsi
delle feste e i costumi dei santi,
l’ordito dei
cieli e l’alta aria notturna
(da An Ordinary Evening in New Haven)
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