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martedì 16 luglio 2019

a tutti quelli che sognano di fuggire all'alba, verso le colline e a quei pochi, coraggiosi, che lo fanno davvero...





Group of Dock Workers Having Lunch by the Cuyahoga River in Cleveland, Ohio



Esterno 

                                                                                                        di Cesare Pavese


Quel ragazzo scomparso al mattino, non torna.
Ha lasciato la pala, ancor fredda, all'uncino 
- era l'alba - nessuno ha voluto seguirlo: 
si è buttato su certe colline. Un ragazzo 
dell'età che comincia a staccare bestemmie 
non sa fare discorsi. Nessuno
ha voluto seguirlo. Era un'alba bruciata 
di febbraio, ogni tronco colore del sangue 
aggrumato. Nessuno sentiva nell'aria
il tepore futuro.
                   Il mattino è trascorso
e la fabbrica libera donne e operai.
Nel bel sole, qualcuno - il lavoro riprende 
fra mezz'ora - si stende a mangiare affamato. 
Ma c'è un umido dolce che morde nel sangue 
e alla terra dà brividi verdi. Si fuma
e si vede che il cielo è sereno, e lontano 
le colline son viola. Varrebbe la pena
di restarsene lunghi per terra nel sole.
Ma buon conto si mangia. Chissà se ha mangiato quel 
ragazzo testardo? Dice un secco operaio,
che, va bene, la schiena si rompe al lavoro,
ma mangiare si mangia. Si fuma persino.
L'uomo è come una bestia, che vorrebbe far niente. 

Son le bestie che sentono il tempo, e il ragazzo 
l'ha sentito all'alba. E ci sono dei cani
che finiscono marci in un fosso. La terra 
prende tutto. Chi sa se il ragazzo finisce 
dentro un fosso affamato? E' scappato nell'alba 
senza fare discorsi, con quattro bestemmie, 
alto il naso nell'aria.
                                   Ci pensano tutti
aspettando il lavoro, come un gregge svogliato.


La poesia di Cesare Pavese, Esterno è tratta dalla raccolta Lavorare stanca; il titolo allude probabilmente alla condizione altra, 'esterna'  del ragazzo rispetto a un mondo in cui la schiena si rompe al lavoro,/ma mangiare si mangia . In tale prospettiva essa illumina pienamente anche il titolo dell’intera raccolta, in cui il lavoro è visto come insieme di rapporti umani caratterizzati dalla legge dello sfruttamento economico e della  necessità. 

In un mattino di febbraio un ragazzo scompare, appende il suo attrezzo ad  un gancio sul muro e si avvia da solo verso le colline, orgoglioso, alto il naso nell'aria, senza fare troppi discorsi. Nessuno ha voluto seguirlo, nessuno ha sentito in quel freddo mattino il tepore futuro della primavera che viene.

E' l'ora di pranzo. gli operai consumano il loro pasto, mangiano il pane che è frutto della schiena rotta dalla fatica; è un piccolo attimo di libertà in una situazione in cui, per il poeta, evidentemente, non si è liberi: la fabbrica libera donne e operai.

Il pensiero di tutti va a quel ragazzo che ha sentito un richiamo al quale non sa resistere:c'è un umido dolce che morde nel sangue/e alla terra dà brividi verdi. Si fanno domande gli operai sulla sorte a cui potrà andare incontro il fuggitivo, ma il pensiero ritorna al lavoro necessario, a quello che darà loro il pane per i propri figli: come un gregge svogliato gli operai attendono di ricominciare. Il corpo, la fatica, l'umiliazione è quello che oggi si prenderà la fabbrica, non il cuore, quello viaggia con il ragazzo che si è buttato verso le colline...

Quello che mi piace di questa poesia è che lo stesso sguardo, composto e benevolo abbraccia il coraggio del giovane che sceglie di buttarsi verso le colline e gli operai che rimangono prigionieri del loro lavoro opprimente.

Tutti sono  coinvolti nella dolorosa esperienza del mestiere di vivere...



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