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venerdì 19 luglio 2019

Viviamo vite instabili


  


A passeggio con te

                                                                                                      di Mark Strand


Priva dell'arguzia e della profondità
propria dei paesaggi
luminosi dei nostri sogni,
questa campagna
che percorriamo a piedi
non è meno bella per il fatto
che è solo ciò che sembra essere.
Innalzandosi dallo stagno
tinto della propria ombra,
l'albero a cui ci appoggiamo
non è mai stato inteso perché posasse
per qualcos'altro,
tanto meno per noi.
Né questi campi
e fossi erano stati progettati
con noi in mente.
Viviamo vite instabili
e restiamo in un certo posto
solo quanto basta a renderci conto
che non gli apparteniamo.
Perfino le nuvole, che si fermano
silenziose sopra di noi
sono nebulose pur senza
assomigliarci, e assalendo
l'aria vuota,
non prendono in considerazione
la nostra solitudine attuale.
Ma poi, perché dovrebbe importarci?
Ce ne stiamo già andando,
come a dire:
noi non siamo qui
noi siamo sempre stati lontani.

Due persone che percorrono a piedi una campagna: uno stagno, un albero, dei campi, sopra di loro nubi silenziose. Questo scorcio di natura non ha nessuna delle qualità che hanno i paesaggi luminosi che ci appaiono in sogno.
Solo uno stagno, un albero, dei campi, né per questo sono meno belli. Sono belli per quel che sono.
Non sono stati pensati per noi, né progettati in funzione nostra, non ci assomigliano - dice l'io lirico che qui parla al plurale - e noi non apparteniamo a loro.

Poi il verso bellissimo, essenziale, una sententiaViviamo vite instabili

All'uomo appartiene l'instabilità, l'effimera bellezza di una stagione che trascorre, l'ombra fugace sul volto che d'un tratto non è più quello conosciuto, il perduto vigore delle gambe aduse alle vette più ardite. Propria dell'uomo è l'incertezza e l'inquietudine.
Anche in questa poesia di Mark Strand tuttavia non dovremmo fare l'errore di concentrarci sulle ombre che le cose proiettano. Certo, non apparteniamo a quella sfera dell'essere a cui appartengono lo stagno, l'albero, i campi, persino le mutevoli nuvole.  Sarebbe solo illusione consolatoria il pensarlo.

Noi non siamo qui... noi siamo sempre stati lontani

Alla sostanziale estraneità dell'uomo rispetto al mondo Strand non intende lasciare l'ultima parola; in questo senso va inteso ciò che ha scritto Caterina Ricciardi,  secondo cui l'intento del poeta sarebbe "quello di inter­ro­gare entità inco­no­sci­bili, aprire porte proi­bite, come fecero altri in altri tempi e con altre alle­go­rie, e altri intenti, incluso quello di ritor­nare a rive­dere la luce" ("il Manifesto, 15/06/2014, "Mark Strand: aspetta, silenzio").

Se lo stagno, l'albero, i campi, le nuvole in cui si muovono i protagonisti della poesia appaiono del tutto insensibili al destino dei due viandanti e la voce dell'io lirico rimarca il fatto che condizione naturale e immutabile dell'uomo è l'essere lontani, proprio lungo quel confine incerto tra i due mondi, traversando quello spazio indicibile della linea d'ombra, lungo il meridiano zero dell'esistenza, proprio là deve incamminarsi il poeta.

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